Don Giacomino Alessi. Diacono tra noi.

di Giandomenico Cortese

[dropcap style=”font-size: 60px; color: #1e6bbd;”] S [/dropcap]impaticamente firmava le sue corrispondenze, “inviato” nelle curiose tradizioni del nostro paese, “Fra’ Matio”. Chissà se pensava alle cronache evangeliche di un Matteo, divenuto famoso nella storia non solo del Cristianesimo. Certo amava l’umiltà e l’umanità che aveva fatto grande e fedele, Rosà e la sua gente.

“Fra’ Matio”, al secolo Giacomo, per gli amici Giacomino, Alessi, il mio delegato aspiranti, il catechista, il lettore, quindi il diacono consacrato al servizio della nostra comunità ecclesiale, un uomo semplice e complesso al tempo stesso.

Non era mai stato facile parlare con Giacomino, ma la relazione con lui, anche quando pareva accigliato, severo, esigente, testardo, era sempre profonda, essenziale, rigorosa. Ha sempre creduto, profondamente, nella “missione” che si sentiva assegnata e che condivideva con passione inesausta.

Anche quando si accingeva a raccontare, per “Voce Rosatese” scampoli di vita vera, autentica, quando andava per contrade e  capitelli, per dimore nobiliari o case rurali a raccogliere storie di profonda sensibilità, parole svanite nel tempo, memorie profonde e sofferte.

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Insieme abbiamo redatto tanti “giornali radio” per una RAI che era più semplicemente la “radio aspirantistica italiana”, che nutriva di informazioni le nostre gite in pullman, quando preparavamo le giornate del Grest, quando organizzavamo i nostri percorsi formativi in Azione Cattolica, o ragionavamo sulle lezioni di catechismo. Non aveva mai smesso la sua vocazione di agricoltore, meglio di contadino che traeva dalla coltivazione della terra i suoi alimenti di vita, restando, modestamente, “coltivatore”, pastore di anime.

In età matura la sua scelta di ordinazione diaconale, la sua presenza orante a centianaia e centinaia di processioni e riti funebri, per accompagnare una volta di più i suoi concittadini rosatesi alla dimora eterna.

Don Giacomino lo sento ancora così, espressione generosa di una comunità che ha radici salde nella sua storia, nella sua fede, nella carità preziosa che si carica di speranza autentica, in una continuità di testimonianze che rafforza la convinzione che l’orizzonte a cui, tutti insieme, andiamo tendendo è fatto di cose semplici, autentiche, e di grandi ideali condivisi, di un’amicizia che  per dirla con  Antoine de St. Exupéry “non consiste nello stare a guardarsi negli occhi, ma nel guardare insieme verso la stessa meta”.

L’amicizia è un messaggio di luce, e a Giacomino piaceva tenere alta la fiaccola che illumina.

Era nato a Rosà il 14 novembre del 1936, battezzato qualche giorno dopo, il 18, dal cappellano don Augusto Trentin, nella chiesa arcipretale di Sant’Antonio Abate, figlio unico di Giovanni Alessi e Anna Zarpellon.

Per prepararsi al Diaconato, negli anni Ottanta frequentò il corso di teologia per laici dai Padri Gesuiti, a Villa San Giuseppe, a Bassano del Grappa, e poi ancora i corsi diocesani a Villa San Carlo di Costabissara.

L’8 dicembre del 1986, nella Cattedrale di Vicenza, il Vescovo Arnoldo Onisto, gli conferì l’Ordine del Diaconato permanente (don Giacomino fu uno dei primi cinque consacrati in Diocesi).

La mamma, che amorevolmente l’aveva seguito su questa strada, gli era venuta a mancare appena un mese prima, il 5 novembre.

Mi piace sempre ricordarlo per quella sua saggezza antica, quella voglia di recuperare negli scaffali della storia, negli archivi della Canonica come in quelli di tante case di rosatesi illustri, scampoli di memoria, in quel viaggio al fondo dell’anima, che cerchiamo di raggiungere anche attraverso le parole.

Ed è proprio un suo pensiero (nel n. 1 del maggio 1994 di “Voce Rosatese”) a chiudere questa breve traccia di ricordo. Scriveva Fra’ Matio: “E mentre il tempo passa e la vita si rinnova giornalmente in modi nuovi, la storia rimane sempre una saggia maestra”.

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Don Giacomino ci ha lasciati il 3 novembre dello scorso anno.

Sentivamo il bisogno, prima ancora che il dovere di ricordarlo, con qualche testimonianza, per la riconoscenza che si deve ad un amico sincero.

Nella convinzione che l’amicizia è soprattutto una virtù, da costruire, da conquistare attraverso la volontà e l’impegno. Sarà anche una virtù “minore”, piccola e semplice, se la si paragona a quelle grandi, “cardinali”,  suggerite a noi dal Catechismo, ma prima ancora dai Saggi di ogni tempo: la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza. Certo l’amicizia riesce a riassumere in sé tutte queste altre condizioni vitali, di grazia, rimane un percorso di vita, quello che avevamo intrapreso ormai parecchi decenni fa, con Giacomino a far da guida, e che oggi prosegue, sugli stessi percorsi, sempre in cordata, con altri compagni.

L’amico fedele – scriveva Sant’Ambrogio -, è medicina per la vita e grazia per l’eternità”.

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