di Angelo Zen
Spendo una veloce telefonata, giusto il tempo per fissare un appuntamento. All’altro capo del ricevitore trovo un’adesione gentile. La visita è programmata nell’abitazione di Elio Bordignon.
Da anni ci eravamo persi di vista. L’incontro suscita antichi ricordi, entrambi felici di conversare. Ne esce un ristoratore tuffo nel passato col riandare agli anni difficili della sua infanzia.
Con Elio voglio parlare della sua poesia. Quella che sgorga attraverso un significativo tratto di vita, che scorre dal momento della perdita del papà, avvenuta quando Elio non aveva ancora due anni, fino alla fatica assolutamente gratificante che ha accompagnato la sua vicenda umana, condivisa con la moglie Eliana ed i figli Stefano ed Elisabetta.
Noto nello sguardo di Elio la soddisfazione per aver aderito alla mia proposta. Mi parla della sua attività professionale, protrattasi nell’arco di quarantasette anni di carriera. La sua vita dedicata ai libri, con una passione unica che corre dalla progettazione fino alla realizzazione del sogno finale: la stampa. È proprio attraverso questo percorso che emerge compiutamente la sua poetica, dove viene trasferito in sentimenti forti lo stupore suscitato da una curiosità particolare.
La laurea “honoris causa” all’editoria e alla comunicazione gli viene conferita nel 2009. La pubblicazione del libro, dal titolo “Lo specchio profondo dell’anima”, avvenuta nel dicembre del 2005, fa risaltare la sua grande capacità di mettere insieme poesia e immagini in una simbiosi assai avvolgente, che crea momenti di appagante condivisione.
E questo, credetemi, non è poco. I temi della sua indagine poetica sono i più disparati. Spaziano dal ricordo toccante della perdita del papà alle aspettative generate dal nascere della sua famiglia, nella quale ha coronato il suo sogno d’amore.
Così si esprime quando parla della Sardegna: “Qui ho raccolto / nel tuo giardino / il fiore più bello / gioia d’amare una terra meravigliosa”.
E significativi sono i versi dedicati alla moglie Eliana: “E il tuo cuore, amor mio, / il mio rifugio / brezza e rugiada al mattino / i tuoi occhi / son tramonti sul mare / che squarciano il cielo / oltre le nubi”. Come ha il sapore di una scultura la definizione dei due figli Stefano ed Elisabetta: “Tenere sembianze della felicità”.
Ancora molto accattivante è il ricordo di Madre Teresa di Calcutta, così definita: “Piccola vagabonda di carità”.
È tagliente il monito al consumismo sfrenato: “Importante è vivere nel Vangelo della pubblicità” e lo sfruttamento dei bambini, rappresentati come “Piccoli giunchi spezzati dall’alito atroce dell’indifferenza”.
Tutte le sue composizioni, pubblicate nel prezioso volume, sono accompagnate da foto scattate dall’autore, che formano un tutt’uno fra poesia e immagine. In tale connubio è compendiata l’esistenza di Elio, impreziosita dall’arte del tipografo, che ha accompagnato lo scorrere dei suoi anni.
Il nostro incontro si conclude nella consapevolezza di una nuova realtà che ci dona speranza, nella scoperta di preziosi gioielli nascosti che via via si svelano in mezzo a noi. E ne siamo felici testimoni.
A mio padre
Cerco e rivolto le mie tasche
seduto sul colle dei ricordi,
occhi immersi in lacrime
di ghiaccio,
cercando di ricordare
occhi e un volto
rincorso,
desiderato e amato,
carezze vuote
mi tormentano come un’eco.
Il colore delle tue tracce
è un petalo appassito
d’un fiore raro,
il contorno del tuo sorriso
si scioglie in un’immensità confusa.
È come una nuvola il tuo ricordo
sospinto lontano dal vento,
pungolo acuto della vita
che m’insegni ad attendere
quel giorno,
che dovrò volare,
a ritrovar
quelle carezze
che scioglieranno
le lacrime di ghiaccio.
Diana e Teresa
(Lady Diana e Madre Teresa di Calcutta)
Ora vediamo,
solitari in noi,
camminare attraverso la nostra fantasia
due volti di donna!
Un fiume di luce, due tenui candele,
crudele è la verità.
Un ramo scorrea tra vallate
lussureggianti,
erba e siepi tagliate di fresco
sogno e turbine cantò dalle origini,
occhi puntati
per cogliere le minime pieghe del corpo e dell’anima,
e la musica lenta risuonava
nei ciottoli voluttuosi
di notti gioiose in castelli dorati,
una cavalcata
nella terra delle fiabe,
un volto che cantava come il mare,
sogno e turbine di tanta gente,
che versano lacrime
all’immagine d’un sogno.
Fiume che scendi
nel ramo dei moribondi,
nelle strade di fango,
tra escrementi e povertà.
Piccola vagabonda di carità.
Nel dolore dei perduti
che affidano al proprio corpo
le immonde strade di carogne,
sotto giorni che cadono nell’eterno
non rischiarati dal sole,
mani mutilate levate al cielo
come fiume grigio e nauseabondo
che scorre sopra ad un grande cuore,
una goccia d’acqua
in un giardino di fiori appassiti,
corpi dissetati nel suo sorriso,
sandali e vestiti laceri
nel battito di un cuore spento
fan sgorgare lacrime di dolore
in occhi colmi di sogni mai nati,
crudele è la verità!
Onesto è il silenzio!
Navigando in opposte sponde
ad unico porto son giunte,
nessuno scateni le trombe giudicanti!!!
L’orologio ha bruciato l’alito
e la polvere dei morti senza più dominio
copre due volti di donna
ai loro piedi
ora ci sono solo le stelle.