I Volontari della Sofferenza a Rosà

di don Marco Carlesso

[dropcap style=”font-size: 60px; color: #1e6bbd;”] S [/dropcap]iamo un piccolo gruppo, ma ci siamo. Facciamo parte dell’Associazione “Volontari della Sofferenza” fondata da un prete piemontese, Luigi Novarese, nel 1947. La Chiesa ha messo il suo sigillo sulla sua persona e sul suo operato l’11 maggio scorso. È stato beatificato. L’associazione e le sue finalità nascono dall’esperienza sofferta del Fondatore. A dieci anni, in seguito ad una brutta caduta, Luigi si ammalò di tubercolosi ossea. Difficilmente curabile a quei tempi perché mancavano i farmaci efficaci. Luigi peregrinò da un ospedale all’altro, da un sanatorio ad un altro. In quelle condizioni e in quegli ambienti, intelligente quale era, si pose dei quesiti molto profondi. Tutti quei giovani come lui, non avrebbero potuto realizzare una vita normale. Difficilmente avrebbero potuto guarire e anche se guariti, difficilmente, per le fragilità fisiche rimaste, avrebbero potuto lavorare e formarsi una famiglia. Allora da considerarsi persone di serie B. Luigi non si rassegnò a questa ingiusta classificazione e andava meditando sulla natura dell’uomo, sulle sue capacità e potenzialità, arrivando alla conclusione che l’uomo non si caratterizza principalmente per la forza fisica, ma anche e soprattutto per le sue capacità psichiche. È la mente e il cuore che caratterizzano la persona umana, pensò. Guarito miracolosamente a diciotto anni, decise di dedicare tutta la sua vita agli ammalati, handicappati,  allo scopo di dar loro consapevolezza della dignità della  persona, anche se con limiti. Fattosi sacerdote e laureatosi all’università Gregoriana di Roma, fu per la sua intelligenza chiamato a lavorare presso la Segreteria di Stato in Vaticano alle dipendenze dell’allora cardinale Montini poi Paolo VI°. Non dimenticò però la sua promessa e nel 1947 diede inizio all’attività con gli ammalati-handicappati, fondando l’associazione. Lo scopo era di far comprendere che non si vale solo se si porta a casa una buona busta a fine mese, ma si può essere persone realizzate anche utilizzando le poche energie residue e soprattutto valorizzando i doni dell’intelligenza e del cuore, che possono coesistere anche con l’handicap. Per capire meglio il valore dell’intuizione bisogna rifarsi a quel tempo. Ora le persone handicappate hanno un minimo di pensione, sono rispettate, possono usufruire di medicine e di ambienti di cura e non vi sono più tutte le barriere architettoniche  di allora. A quel tempo ancora erano  segregate in casa o in qualche ospizio. Una signora di Bassano, membro intelligente e attivo dell’Associazione, è stata internata in manicomio e vi è rimasta per vent’anni, unicamente perché era epilettica. Le famiglie si vergognavano a portare in pubblico un loro congiunto handicappato. Nella testa di qualcuno passava anche l’idea che fosse un castigo, una maledizione.

I punti fermi posti da Novarese alla base della sua attività sono: la dignità della persona umana anche con limiti, la possibilità di utilizzare le energie residue. Quando ancora nessuno ci aveva pensato aprì laboratori per queste persone. Stimolò con straordinaria forza persuasiva,

l’impegno a utilizzare la propria mente per leggere, riflettere, creare relazioni, instaurare amicizie e in base alla fede cristiana, ad essere anche operatori efficaci sul piano soprannaturale della grazia. L’invito quindi a pregare e ad offrire le proprie sofferenze in unione a quelle del Crocifisso per la salvezza spirituale propria e dei fratelli. E questo seguendo le richieste fatte dalla Madonna che apparendo a Lourdes e a Fatima ha invitato a pregare e a offrire sacrifici per il bene spirituale della Chiesa, dei suoi ministri, dei lontani dalla fede. Alla luce di queste indicazioni, il malato, handicappato, anziano poteva e doveva essere un lavoratore a tutti gli effetti, un apostolo, un operatore sociale. Dopo qualche anno, vedendo il bisogno di un aiuto materiale per spostamenti ed attività organizzative, pose accanto agli ammalati i “Fratelli e le Sorelle”; persone sane, che condividendo gli ideali, aiutano i malati.

A Rosà l’associazione iniziò la sua attività negli anni sessanta ad opera di Eugenio Gasparotto, gravemente impedito. Nel luglio del 1960 partecipò ad uno dei primi corsi di spiritualità che si tenne e Re di Verbania,  poco sopra Domodossola, in una casa appositamente costruita a questo scopo, insieme con la sorella di suo cognato, Andreina Dissegna, poliomelitica. Alla partenza dal cortile di casa i due furono malauguratamente così salutati: “Dove vuio ‘ndare voaltri du porican”. Da quel 1960 Eugenio partecipò tutti gli anni agli Esercizi Spirituali, ricavandone sempre stimoli e forza  per guardare avanti con serenità e desiderio di operare. Come? Se gli mancano le mani e gli occhi! La mente è comunque ben funzionante e allora cominciò a contattare persone limitate come lui, cominciò a spostarsi con i suoi accompagnatori, a far visita a questi suoi compagni di sventura, donando loro amicizia e un sorriso fatto scaturire da una o più barzellette, di cui possiede una buona raccolta. Incideva  con il suo registratore conferenze, canzoni, dibattiti e li passava a chi li desiderava. Il telefono fu il suo più fidato collaboratore. Quante telefonate ad amici o anche a persone non ancora conosciute, ma di cui aveva avuto informazioni. Come telefona se non ha né mani, né occhi? Maneggiando con i moncherini il suo registratore incide  i numeri e poi all’occorrenza li va a cercare e con gli stessi moncherini compone i numeri in un apparecchio cui sono stati ampliati e modificati i tasti numerati.

Gli iscritti si incontrano in piccoli gruppi, otto dieci, in casa di qualcuno di loro. Leggono, riflettono, pregano, dialogano. Vi sono questi incontri familiari, ma anche zonali, diocesani e nazionali. Il punto focale dell’attività è la formazione umana e cristiana. L’attività formativa più efficace è senza dubbio il corso di spiritualità annuale, che si tiene a Re, ma ogni incontro ad ogni livello deve comprendere un momento formativo.

L’attività è sostenuta da una rivista l’“Ancora” e per gli operatori qualificati l’“Ancora nell’Unità di Salute”. L’esperienza ha dimostrato che il limite fisico non impedisce una vita attiva e serena, pur condizionandola.

L’ultima biografia del Fondatore porta questo sottotitolo: “Lo spirito che cura il corpo”. Sintesi indovinata di una intuizione e di una attività che ha portato splendidi e insperati frutti. È diffusa anche fuori d’Italia anche se la sua presenza è poco percepibile, perché i numeri non fanno chiasso, e l’attività è discreta e predilige i contatti personali più che la pubblicità…

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