Il campanile si racconta

di Angelo Zen

 

Mi presento. Sono il campanile di Rosà. Massiccio. Ben proporzionato. Quello che si offre allo sguardo del viaggiatore che giunge da lontano. Ben visibile, ad una certa distanza dal centro. Sono stato invitato dagli abitanti del paese a raccontare la mia storia. Accolgo con interesse. Mi sento orgoglioso di essere considerato cosa importante. Quanti avvenimenti hanno gravitato attorno alle mie fondamenta! Quante persone mi hanno ammirato e considerato simbolo di appartenenza ad una comunità che vive, che gode, che piange, che prega! Nel corso della mia lunga esistenza, quanti messaggi ho trasmesso dall’alto del mio sito, ricco di suoni suggestivi!

L’editoriale che mi ha proceduto ha anticipato le mie origini. Ma io voglio raccontare qualcosa di diverso da quello che la storia tramanda. Ricorrono ormai duecento anni da quando io fui ultimato, era l’anno 1817. Ben sessant’anni durò la mia gestazione. Furono sessant’anni, lunghi, ma hanno partorito un capolavoro.

Ben proporzionato nelle forme e nella sua altezza. Esagerata potrebbe obiettare qualcuno. Giusta ribadisco io, perché i rintocchi da propagare dovevano raggiungere l’intero territorio comunale di Rosà che formava una sola parrocchia. Infatti, successivamente alla mia progettazione, il territorio venne diviso in quattro frazioni oltre a Rosà Capoluogo.

Ben sette ospiti attualmente alloggiano all’interno della mia cella campanaria. Non litigano fra loro perché ognuno copre un ruolo ben distinto all’interno della numerosa famiglia. Toni ha il compito di celebrare la gloria e l’amore di Dio. Valentino dedica i suoi rintocchi ai Rosatesi lontani “non dimentichi e non dimenticati”. Angela ricorda i fratelli che riposano in Cristo. Giuseppe suona per alimentare l’impegno e l’operosità dei fedeli. Maria accompagna la gioventù perché cresca forte, pia e generosa. Innocenza e Antonietta sono le ultime nate. Completano la scala del pentagramma e disperdono i loro suoni in una autentica simbiosi di ideali.

Nella mia lunga storia sono stato spettatore attento di una infinità di avvenimenti. Ne ricordo uno avvenuto nell’anno 1929. Suor Lina Pegoraro, ultra novantenne, giorni fà ci ha lasciato. Viveva a Cuba e lì è stata sepolta. Proprio lei mi ha fatto memoria di un’avvenimento di cui è stata immune spettatrice. Partecipava, quell’anno, alla processione del Corpus Domini nel giorno della sua Prima Comunione. Nel momento in cui la processione prendeva il via, al suono a distesa delle campane, tre delle quattro sfere che ornavano la cima, caddero tra la folla, senza procurare alcun graffio a quelli che sostavano. L’avvenimento fu considerato come miracoloso. Successivamente, per moltissimi anni, nella ricorrenza del Corpus Domini è stato cantato il solenne “Te Deum” a ringraziamento per lo scampato pericolo. Solo nell’anno 1932 le tre sfere vennero riposizionate nella cima. Mi ammiro nella foto d’epoca che accompagna questo mio scrivere. Orgoglioso di essere stato accudito con tanto amore, pur nella ristrettezza di mezzi di quei tempi. Quando si parla di calamità naturali mi rincorrono avvenimenti che hanno sconvolto il territorio. Il famoso “ciclone” dell’anno 1945, ripetutosi a dieci giorni di distanza dal quell’8 di agosto.

Era mio dovere preoccuparmi, in occasione di temporali minacciosi, di far sentire i rintocchi accelerati del mio “Toni” per scongiurare la grandine che arrivava a distruggere i miseri raccolti dei “mezzadri”. E quante volte, anche durante la notte, ho scomodato i poveri “campanari” richiamati in tutta fretta, a mettere mano alle corde per scongiurare quel castigo. E ai rintocchi affannosi del “Toni” nelle case, faceva riscontro l’accensione delle candele benedette, con attorno radunati i membri della famiglia, ad invocare la Vergine Maria perché fossero preservati i frutti della campagna.

Ritrovo in questo frangente la sintonia della fede con il richiamo solenne di un suono che unisce, affratella, rende unico il bisogno di condividere. Ci sono stati anche tanti momenti lieti di cui sono stato unico o primo messaggero. Il saluto festoso e solenne in occasione delle prime Messe dei nuovi sacerdoti di origini rosatesi. L’accoglienza riservata ai nuovi parroci nel giorno del loro ingresso. Sono stato anche l’eco lontana che fece rimbalzare da Roma la notizia della nomina a Vescovo e successivamente Cardinale del nostro concittadino Sebastiano Baggio.

E non dimentico certo i tantissimi matrimoni celebrati nella chiesa parrocchiale a cui ho fatto seguito con momenti di vero tripudio per gli sposi. Negli ultimi tempi queste occasioni si fanno più rade. Non so se è perché sono vecchio, ma vogliono farmi credere che anche questo è un nuovo segno di civiltà. Godo per i lavori di manutenzione e restauro, eseguiti sotto la direzione dell’architetto Gaetano Cecchini, di cui sono stato oggetto negli anni 1996/1997, che esternamente mi hanno reso assai attraente. Custodisco in me un rammarico. Devo constatare con una certa amarezza che, a seguito dei lavori di rifacimento della piazza, sono stato privato di una consistente parte dello zoccolo, in pietra grezza che un tempo formava la base primaria. Certamente ora non misuro più in altezza i 72 metri che originariamente mi distinguevano. E’ stata mortificata la mia estetica così solenne, così importante.

Mi auguro che in futuro possa tornare alla luce il mio primitivo originario basamento. Ringrazio Voce Rosatese per l’ospitalità che mi ha offerto e sarò sempre lieto di condividere con la comunità i momenti più significativi della sua vita.

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