Vita e Opere di Monsignor Filippi

di Marina Bizzotto e Chiara Farronato

[dropcap style=”font-size: 60px; color: #1e6bbd;”] L [/dropcap]a ripresa della pubblicazione di “Voce Rosatese” coincide con la ricorrenza del 90° anniversario di fondazione della scuola materna di Rosà e degli Istituti Pii (già Istituti Parrocchiali). L’idea era nata dall’intuito, attento alle necessità del tempo, di Mons. Luigi Filippi, arciprete di Rosà dall’anno 1920 all’anno 1943. All’artefice principale di queste opere, che oggi vengono additate come vanto e modello, dedichiamo il primo ricordo dei maestri importanti che hanno guidato la nostra comunità religiosa nel secolo da poco concluso.

 

      LA VITA.

Monsignor Filippi nacque a S. Gregorio di Cavalpone, nel comune di Veronella, il 14 luglio 1881, da due genitori dalle solide tradizioni cristiane. I primi studi furono sotto la guida paterna dato che il padre era maestro di scuola elementare e organista di valore. Dopo gli studi ginnasiali a Cologna Veneta, chiese di entrare in Seminario per compiervi il corso liceale. Fin da piccolo si distinse dai suoi coetanei per l’intelligenza, la vivacità di carattere e l’interesse per il prossimo. 

Il 30 luglio 1905 fu consacrato sacerdote. Per le sue doti i superiori lo vollero maestro di canto nella Cattedrale e insegnante di ginnasio. Il giovane ed esuberante sacerdote chiese inoltre di poter compiere altri servizi e divenne collaborare di un periodico cattolico, cooperatore alla Chiesa degli Scalzi, confessore in due istituti di istruzione cattolica.

Dopo solo un anno, per problemi di salute, venne trasferito a Marano Vicentino, dove la sua attività pastorale fu rivolta in modo speciale verso i giovani, tanto da divenire responsabile delle Associazioni Cattoliche della zona Schio-Malo. Ben presto però fu chiamato alla popolosa curazia di Giavenale, frazione di Schio, dove rimase per dieci anni e dove accanto alla vita pastorale portò a compimento la costruzione della chiesa, del patronato e una scuola di lavoro per fanciulle.

Lo scoppio della guerra mondiale interruppe il suo servizio e fu chiamato alle armi: per 27 mesi don Filippi fu soldato. Fu impiegato nei servizi di sanità per le cure sia fisiche che morali. Terminata la guerra potè riprendere il suo posto, per brevissimo tempo però perchè S.E. Mons. Rodolfi aveva in mente per lui una delle parrocchie più popolate della Diocesi, Rosà.

Il predecessore di Mons. Filippi fu Mons. Angelo Celadon che resse la parrocchia dal 1901 al 1919 per essere poi chiamato alla Direzione Spirituale del Seminario di Vicenza. A reggere le sorti della vacante parrocchia fu mandato per primo tempo D. Gaetano Perin, seguito quasi subito da D. Filippi che in pochi mesi conquistò la stima e l’affetto del popolo di Rosà che il 1° settembre lo eleggeva parroco ad unanimità di voti (38 su 38). Nello stesso mese l’Arciprete di Rosà veniva eletto Vicario Foraneo della nuova Vicaria di Rosà. Dopo la nomina del Vescovo, il 24 ottobre 1920 Rosà accolse, con una superba manifestazione di affetto, il suo nuovo pastore; aveva 39 anni di età e 15 di sacerdozio. Don Filippi era chiamato però a reggere la nostra parrocchia in un periodo difficile e doloroso per il paese che risentiva ancora dei disastri della guerra. Un senso di stanchezza e di disorientamento pervadeva tutta la popolazione.

Mons. Filippi
Mons. Filippi

Il giovane arciprete non si lasciò abbattere dalle difficoltà, che divennero uno stimolo per il suo desiderio di fare del bene e riuscì in breve tempo ad avviare il paese verso una condizione spirituale e materiale tra le più prospere della Diocesi. Per prima cosa si preoccupò del decoro del duomo, alquanto malandato, affumicato, per riportarlo all’antico splendore con l’aiuto di tutti i fedeli. Aveva una grande ambizione per il servizio all’altare che doveva essere impeccabile, come impeccabili dovevano essere i Chierichetti che voleva sempre vestiti in cotta e talare. Più volte essi riportarono il primo premio nelle gare annuali diocesane. Curò con vera passione la musica e il canto sacro durante le cerimonie, dotò la chiesa di un organo tra i più belli e volle una schola cantorumnumerosa istruita nel canto gregoriano e polifonico.

Era un gran oratore, con una  oratoria fluida, facile, efficace. Nelle funzioni di Chiesa si teneva scrupolosamente all’orario. Esatto nell’uscire all’altare, aveva come norma costante di non essere mai troppo lungo per non stancare e annoiare (per quei tempi significava che la predica raramente oltrepassava la mezz’ora!). Il risultato era una grande frequenza ai Sacramenti. “In chiesa a Rosà ci si va volentieri!”si sentiva ripetere dalla gente, anche dei paesi vicini.

Amò molto i giovani e per loro volle rimodernare il salone teatro, organizzando recite e serate che resero per tanti anni famosa la filodrammatica di Rosà, e creò la Casa della Dottrina Cristiana col suo ampio cortile, i giochi e le sale di ricreazione. Nei suoi anni di apostolato molte furono le vocazioni sacerdotali e religiose.  Si era circondato da un folto gruppo di catechisti che istruiva, aiutava e incoraggiava. Anche l’Azione Cattolica, con tutte le sue sezioni, gli stava particolarmente a cuore.

Monsignor Filippi era una figura aristocratica, dai modi cortesi ed eleganti, capace di interloquire con le più alte personalità e con famiglie di antica nobiltà ma nello stesso tempo godeva di una grande popolarità tra i parrocchiani, che conosceva per nome, condividendo con essi difficoltà e bisogni. Preferiva stare con la gente comune, con i lavoratori dei campi. Nei suoi frequenti giri in bicicletta o in carrozza, incontrando qualcuno, era prodigo di domande e suggerimenti: “Come va la salute? Quanti quintali di grano quest’anno? Bisogna innestarli questi meli, così non ci cavate nulla! Se Gigetto non viene al Catechismo gli tirerò le orecchie!”. Quando aveva tempo, entrava nelle case o andava nei campi arrivavando all’improvviso e senza farsi annunziare. In paese era lui il giudice conciliatore e il paciere di ogni controversia. Era sempre disponibile quando veniva chiamato dagli ammalati e soccorreva con generosità i poveri, andando lui stesso casa per casa a chiedere un atto di carità.

Monsignor Filippi ebbe però una predilezione per le persone maggiormente colpite dalla sventura e per loro volle far sorgere una cittadella della carità: i nostri attuali Istituti Pii. In un paese di pochissime risorse, dove le ristrettezze finanziarie aumentavano e rendevano gli animi più egoisti, egli riuscì a far sorgere in pochi anni queste straordinarie opere. Aveva una fiducia illimitata nella divina provvidenza e uno spiccato genio organizzativo; anche le  moltecipli benemerenze e i riconoscimenti delle più alte cariche civili ed ecclesiastiche servirono al monsignore per ottenere finanziamenti di  benefattori che, incurante delle critiche, continuava a cercare con insistenza e caparbietà.

Le orfanelle di guerra, gli anziani del Ricovero e le “buone figlie” del Cottolengo rimanevano il centro dei suoi affetti. Per tutti aveva una parola buona, una carezza, un sorriso. Non lasciava passar giorno senza recarsi in visita per controllare che tutto procedesse regolarmente. Aveva una tenera devozione per la Madonna e per le Anime del Purgatorio. Scoppiata la seconda guerra mondiale, si prese cura in modo particolare dei soldati. 

Dio lo chiamò a sè improvvisamente, nel pieno della sua attività pastorale. Era la domenica del 7 marzo 1943. Aveva 61 anni; 38 di sacerdozio, di cui 23 passati a Rosà. Indescrivibile il sentito dolore dei suoi parrocchiani che invano lo avevano atteso per i Vespri. Per tre giorni le varie autorità e il suo popolo si recarono alla camera ardente per rendergli omaggio. Dopo il solenne funerale si compose il grandioso corteo funebre e la salma fu fatta passare attraverso gli Istituti per l’ultimo incontro con i suoi prediletti. Volle essere sepolto nel nudo terreno, come l’ultimo dei suoi parrocchiani.

Oggi riposa all’interno della Cappella degli Istituti Pii.

 

     LE SUE OPERE

Gli Istituti Pii e l’Asilo Parrocchiale Gesù Fanciullo, come li conosciamo oggi, sono il frutto di una continua opera di miglioramento: tecnico, edilizio e programmatico, volto ad accogliere, amare e sostenere nel fisico e nell’anima le persone più bisognose.

Fu Monsignor Filippi, arrivato da appena sei mesi nella parrocchia di Rosà, a lanciare l’idea per la costruzione del primo dei suoi Istituti: un asilo infantile e una scuola di lavoro in cui si insegnava alle giovinette una professione. Il primo mercoledì di maggio 1921, sacro alla Vergine della Salute, presentò ai fedeli il progetto di quest’ultima opera che oltre ad essere di grande utilità per il paese, avrebbe costituito un rendimento di grazie alla Madonna per lo scampato pericolo di sgombero della popolazione durante la guerra per l’avanzare del nemico. Fu la docile tenacia del Monsignor ed un’amorevole Provvidenza che mossero il cuore di anime generose e di umili popolani a fornire i capitali necessari per portare a termine questa imponente impresa.

1921 SE F.Rodolfi benedice il luogo ove sorgerà la Cittadella della Carità

Un articolo di giornale, del 21 settembre del 1952, scritto in occasione del trentennio degli Istituti, così riportava: “Monsignor Filippi aveva aperto le porte della parrocchia ai diseredati, senza preoccuparsi della loro provenienza: aveva chiesto ai suoi parrocchiani di dare, senza promettere loro alcuna contropartita di vantaggio (al suono convenuto del campanone partivano i carri di materiale ed i volontari del lavoro e si concentravano agli Istituti: un bicchiere di vino, un ampio sorriso, un pensiero che sollevava alle celesti speranze, e i fabbricati si allineavano dignitosi l’uno accanto all’altro e la gente tornava a casa felice di aver lavorato per qualche cosa di più suo che non fosse la stessa dimora di ciascuno).”

Nello stesso articolo veniva citato un Padre Agostiniano spagnolo ospite in Rosà per i festeggiamenti: “In nessuna parte del mondo ho visto una fede, una pietà, una bontà simile!”

Monsignor Filippi fece richiesta all’Istituto Palazzolo di Bergamo di suore per gestire tale Istituzione, “Ce ne bastano tre, ma che sappiano fare i miracoli!” …ed esse furono veramente strumento di prodigi. Un anno dopo, il 3 maggio 1922 l’Asilo, capace di ospitare circa 200 bambini, veniva aperto ai figli del popolo alla presenza di S.E. Monsignor Ferdinando Rodolfi, di tutte le autorità e delle tre prime Suore delle Poverelle giunte a Rosà il giorno stesso: Madre Cornelia, la Superiora, Suor Vereconda, la maestra di lavoro e Suor Guglielma, la maestra dell’asilo. Il Palazzolo diede a Rosà tre suore e Rosà in quarant’anni ne restituì un centinaio.

Giovanni Botegheta dedicò loro un sonetto: “Tre poverette coe ombree verte perché pioveva….”

Nelle aule dell’asilo aria e luce entravano in abbondanza dai larghi finestroni, alle pareti carte geografiche e cartelloni policromi di piante e animali ravvivavano l’ambiente. Dal testo tratto dal colloquio tra la madre superiora e un sacerdote nel 1944, leggiamo:

–  I bambini si fermano qui anche il pomeriggio?-

– Si, tutto il giorno.-

– E per il pranzo?-

– Dapprincipio non si sapeva come fare: mandarli a casa no, perché alcuni distano parecchi chilometri, lasciarli pranzare al sacco è una cosa che non va a quell’età; abbiamo rimediato col somministrare a tutti una scodella di minestra calda, poi ognuno mangia il companatico che ha portato con sé. Le famiglie sono contente e i ragazzi stanno bene.-

– E la retta?-

– Quelli che possono pagano qualche cosa, per gli altri ci pensa la Provvidenza!-

Contemporaneamente veniva aperta anche la Scuola di Lavoro per le fanciulle della Parrocchia.

Qui le ragazze più povere erano ammesse gratuitamente. Venivano impartiti insegnamenti di cucito, rammendo, taglio, ricamo e stiratura con lezioni pratiche di economia domestica. In media furono sempre un centinaio le frequentanti. Lo scoppio della seconda guerra mondiale, richiamò tutta la manodopera nelle campagne e venne chiusa temporaneamente questa istituzione così benefica.

L’istituto in questione era ubicato nelle attuali sala del Giubileo e sala dell’Annunciazione. Intorno a questa prima Istituzione ne sorsero delle altre.

“L’orfanotrofio di guerra” per le orfanelle delle province di Vicenza e Padova fu inaugurato il 4 novembre del 1924. Qui le bambine sotto la guida di suore specializzate, frequentavano le cinque classi elementari. Inoltre confezionavano corredini per i neonati, indumenti per i poveri, ninnoli e giocattoli per le pesche di beneficenza imparando così la carità spicciola e disinteressata. Lo stabile che ospitava le orfanelle era l’attuale asilo parrocchiale.

“Il Solarium” fu aperto nel 1926 per la cura di ragazzi e ragazze deboli e gracili di salute. Dalla relazione del medico curante dr. Gosetti nell’anno 1930 si apprende che i bambini erano aumentati tutti da due a quattro chili, ed un chilo in più di aumento veniva registrato nei bimbi che avevano ricevuto la refezione negli istituti. Funzionava anche un ambulatorio ostetrico per le mamme indigenti, per le quali non mancava un pasto completo e sostanzioso. La minore mortalità e la triplicata natalità dimostrarono chiaramente i benefici dell’istituto.

“La Casa di Riposo Dolores Dolfin Boldù” per i genitori e le vedove dei caduti in guerra fu aperta nell’aprile del 1927.

“La Casa della Dottrina Cristiana” nacque con l’appoggio anche di Monsignor Rodolfi; la sua costruzione si era resa necessaria dato il numero rilevante di fanciulli che non avevano aule adatte all’istruzione religiosa e fu inaugurata il 29 giugno del 1931.

La casa di riposo “Maria Ausiliatrice”, sorse nel 1934 e fu destinata ad accogliere gli anziani del paese.

“Il Piccolo Cottolengo”, ispirato a quello di Torino, venne inaugurato nel settembre del 1935, per accogliere e curare “le giovinette minorate nelle loro facoltà fisiche e/o psichiche”. La casa aveva lo scopo di provvedere al ricovero, alla rieducazione, alla cura di quelle bambine che, a causa di malattie che avevano colpito i loro centri nervosi e avevano compromesso lo sviluppo psicofisico, non potevano rimanere nelle famiglie per la difficile e complicata gestione. I benefici di una assistenza medico-specialistica e pedagogica non tardarono a vedersi: tra i recuperi più confortanti quello di due bambine completamente paralizzate alle gambe che tornarono a camminare.

Nel 1941 venne attivata “La casa del Clero” per anziani religiosi.

L’ultimo progetto che il Monsignor avrebbe voluto veder realizzato era la Cappella degli Istituti che doveva sorgere nel cuore di quella cittadella per raccogliere, in un inno di perenne gratitudine a Dio, i vecchi cadenti, i bambini dell’asilo, le orfanelle e le minorate fisiche; purtroppo Iddio volle il suo servo più prodigo accanto a sé prima della costruzione dell’edificio.

Dopo la morte di Monsignor Filippi, il 7 marzo 1943, la guerra rese difficile la gestione dell’Opera e costrinse il successore Monsignor Giovanni Albiero a donare in modo irrevocabile gli Istituti alle suore delle Poverelle di Bergamo, riservandosi solo la proprietà dell’asilo e la sua gestione. Col passare degli anni ogni singolo Istituto si è evoluto, variando anche la sua destinazione. Ristrutturazioni e nuove costruzioni risposero alle svariate e molteplici esigenze che si manifestarono negli anni per le diverse tipologie di persone da assistere.

 Nel 50° degli Istituti l’Istituto Palazzolo di Bergamo donò a Rosà il nuovo padiglione per bambine frenasteniche dove poco più di due anni dopo dimoravano 100 giovani ospiti. L’essenzialità e la forza del pensiero del suo fondatore volto ad amare, aiutare, sostenere gli ultimi, hanno spinto questa istituzione fino ai nostri giorni. Per l’occasione Angelo Zen scrisse: “La cittadella ampliata è e resta emblema e orgoglio della cittadinanza. Rosà si sente onorata di questa predilezione da parte della Provvidenza che le ha messo accanto un così nobile segno di riflessione e di amore verso i propri simili.”

Articolo creato 223

Articoli correlati

Inizia a scrivere il termine ricerca qua sopra e premi invio per iniziare la ricerca. Premi ESC per annullare.

Torna in alto