L’amore per la gioventù: punto di partenza e arrivo per Don Lorenzo Milani

di Elisabetta Nichele

 

 

Una vita breve ma intensa quella di Don Lorenzo Milani che, a cinquant’anni ormai dalla morte, non si può certo dimenticare. Un prete che aveva deciso di servire Dio nel modo più completo: un esempio di misericordia e un dono per il prossimo. La sua conversione in età adulta testimonia tale scelta e tutto il suo operato.

Gli “anni passati nelle tenebre”, come lui definisce i 20 anni vissuti nel mondo borghese a cui apparteneva la sua famiglia, lasciano il posto ad una precisa scelta di vita: servire il Vangelo, il Cristo, tentare così di salvarsi l’anima stando dalla parte giusta dei poveri, cercare di conoscerli da vicino, di viverci insieme, di imparare la loro lingua, insegnargliene un’altra, condividere le loro cause, difendere le loro ragioni.

Fu ordinato sacerdote a 24 anni e mandato a San Donato a Calenzano (FI) come cappellano.

Calenzano era nel 1947 un paese di 1300 abitanti in via di industrializzazione; la sua popolazione aumentava ed il vecchio Proposto non ce la faceva più a reggere la parrocchia. Il Cardinale accolse così la richiesta di aiuto: “Ho quest’anno un giovane prete, non ha nessuna pretesa, e vuole vivere poveramente: un certo Don Lorenzo Milani”.

Don Lorenzo era entusiasta: finalmente poteva mettersi al servizio del suo prossimo e restituire quanto per 20 anni aveva ricevuto.

Subito col gioco del pallone, il ping pong e il circolo ricreativo tentò di avvicinare i giovani alla Chiesa, ma presto si rese conto che era limitativo per un prete abbassarsi a questi mezzi per evangelizzare. La mancanza di cultura era un ostacolo alla evangelizzazione e all’elevazione sociale e civile del suo popolo.

Scrive in Esperienze Pastorali: “È tanto difficile che uno cerchi Dio se non ha sete di conoscere. Quando con la scuola avremo risvegliato nei nostri giovani operai e contadini quella sete sopra ogni altra sete e passione umana, per portarli poi a porsi il problema religioso sarà un giochetto.

Saranno simili a noi, potranno vibrare di tutto ciò che fa noi vibrare. Tutto il problema si riduce qui, perché non si può dare che quel che si ha. Ma quando si ha, il dare viene da sé, senza neanche cercarlo, purché non si perda tempo”.

Fu così che Don Lorenzo organizzò una scuola serale per giovani operai e contadini. La sua missione partiva dalla convinzione che l’ingiustizia sociale era un male e andava combattuto perché offendeva Dio.

Il 14 novembre 1954 Don Lorenzo fu nominato priore di Barbiana, una piccola parrocchia di montagna. Avviò subito anche qui una scuola popolare simile a quella di San Donato. Il pomeriggio faceva invece doposcuola in canonica ai ragazzi della scuola elementare statale.

Nel 1956 rinunciò alla scuola serale per i giovani del popolo e organizzò per i primi sei ragazzi che avevano finito le elementari una scuola di avviamento industriale.  Una scuola poverissima, organizzata in Canonica, con un solo libro di testo; i ragazzi, a turno, leggevano la lezione e Don Lorenzo spiegava.

Era una scuola diversa da tutte le altre: diversa negli orari, diversa nei contenuti, diversa nei metodi di insegnamento.

La scuola rappresentava per lui lo strumento per dare la parola ai poveri perchè diventassero più liberi e più eguali. Così si rivolgeva ai giovani contadini e operai che convinse a partecipare riuscendo a toccare e a far vibrare le corde più sensibili di ognuno.

“La cultura è una cosa meravigliosa come il mangiare… bisogna mangiare insieme alle persone che amiamo e così bisogna coltivarsi insieme alle persone che amiamo.” Quindi mai una cultura elitaria. Nella scuola di Barbiana tutti vanno a scuola e tutti fanno scuola: educazione partecipata a tutti e partecipata da tutti. Già la vita di relazione è luogo educativo fondamentale. Ma essa deve diventare partecipazione attiva alla vita di tutti: nella scuola, nella vita pubblica, nella politica, nel sindacato.

L’I care è  il motto di Barbiana: “Me ne importa, mi sta a cuore”, così lo traduce Don Lorenzo.

Da tali convinzioni deriva l’accusa alla scuola tradizionale che non tiene conto della

dispersione scolastica di cui è colpevole e quindi di un processo educativo che non considera quelle che sono le condizioni di partenza degli alunni.

La tesi di Barbiana è quindi guidata da due teorie di fondo: la forza della parola e la fiducia nell’uomo, di ogni uomo che ha in sé risorse infinite e deve esser messo in condizione di esprimerle. La parola alla quale fa riferimento la Lettera ad una professoressa, testo scritto insieme ai ragazzi di Barbiana e pubblicato nel 1967 che ha messo sotto accusa le contraddizioni della scuola italiana, è  prima di tutto quella che Dio stesso ha pronunciato nel cuore dell’uomo, di ogni uomo,  e che non può esser ridotta al silenzio. Non valorizzare al meglio il fattore umano è spreco della  risorsa più importante.

Con la sua scuola Don Lorenzo

testimoniò di servire la verità prima di ogni altra cosa raccogliendo giovani operai e contadini di ogni tendenza politica : “Vi prometto davanti a Dio che questa scuola la faccio unicamente per darvi una istruzione e che vi dirò sempre la verità di qualunque cosa, (…), perchè la verità non ha parte”, disse ai suoi giovani uno dei primi giorni di scuola a Calenzano. Un giorno un ragazzo di solida famiglia cattolica gli disse: “Ma lei insegna anche a lui che è comunista e dichiarato nemico della Chiesa?”

“Io gli insegno il bene – rispose – gli insegno a essere un uomo migliore e se poi continua a rimanere comunista, sarà un comunista migliore.” Operava per insegnare ai giovani a ragionare con la propria testa e far prendere loro coscienza sulla necessità che divenissero protagonisti del loro futuro rifuggendo da schieramenti preconcetti, ma distinguendo sempre il vero dal falso.

La severità nei propri comportamenti rispecchiava la richiesta ai ragazzi di coerenza tra idee, parole e comportamento

pratico, senza mai rinunciare alla gioia di dire sempre la verità e di vivere senza nessun formalismo. “Devo tutto quello che so ai giovani operai e contadini cui ho fatto scuola… Io ho insegnato loro soltanto a esprimersi mentre loro mi hanno insegnato a vivere… Io non ero così e perciò non potrò mai dimenticare quel che ho avuto da loro”.

Attraverso la scuola ed i suoi alunni conobbe i veri problemi del popolo.

Entrò nelle famiglie come uno di loro pronto a dare un aiuto su qualunque questione.

Ancora oggi allora Don Milani offre una lettura ai problemi che si presentano in una forma e in una dimensione inaspettati, aiutando a ritrovare il senso stesso di una scuola che deve contribuire alla costruzione di una società comunitaria, fatta cioè di uomini capaci di relazione, una scuola in grado di umanizzare.

In una società complessa e in costante cambiamento si ritrova così quell’I care che dovrebbe rappresentare uno stile di fare scuola con il cuore, orientato alla presa di coscienza civile e sociale, basato sul valore dell’accoglienza per insegnare a ogni alunno ad apprendere e a vivere con gli altri.

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