Mons. Giovanni Albiero

di Marina Bizzotto

[dropcap style=”font-size: 60px; color: #1e6bbd;”] M [/dropcap]ons Giovanni Albiero è l’arciprete del secolo scorso meno conosciuto dai rosatesi per il breve periodo del suo mandato, che coincise anche con gli anni bui della fine della seconda guerra mondiale e del difficile ritorno alla normalità. Sappiamo però che lui amò così tanto la nostra comunità da ricordarla sempre con tanta nostalgia, credendo di “ritrovarla” poi in altre realtà parrocchiali.

Chi mai gavaria pensà, nel quaranta sete,
de restar sensa Arsiprete?

Così inizia il sonetto intitolato “Mentre Mons. Giovanni Albiero parte da Rosà” di Giovanni Botegheta. Sicuramente nessun rosatese si sarebbe aspettato che il loro prelato, dopo solo tre anni di apostolato, venisse promosso, dal vescovo Carlo Zinato, arciprete della cattedrale di Vicenza. La nomina avvenne il 5 agosto 1947 ma nel sonetto si riporta che la celebrazione di saluto avvenne il giorno dell’Epifania dell’anno seguente.

Par el caro Festegiato,
da tuto el popolo attorniato,
non la x’è stata na gran festa,
benché ghe fosse la banda in testa.
L’amaressa el popolo sentia nel core
che applaudia con gran dolore…

Il sonetto continua descrivendo, come da copione di un film di altri tempi, la domenica seguente l’Epifania: la piazza di Rosà era gremita di gente per salutare Mons. Albiero che partiva per Vicenza.

…anca Pio Baio
el gà vudo on bel coraio,
par aver l’alto ambito onore
de caricar par primo Monsignore,
taiar in meso a tuta quela gente,
lassando indrio chè altri, senza dirghe gnente!
Ma, dala calca, l’è andà avanti on po’ sforsà
e x’è stà on caso se l’aprilia no se ghà sfassà…
…Cossì grande x’è stà l’evento,
che sie done x’è andà in svenimento
e dala Stela le se gà rifugià,
mentre sonando, na campana se gà crepà.

Una folta delegazione di rosatesi partecipò al suo ingresso a Vicenza e all’insaputa del festeggiato anche la Banda volle rendere più solenne l’evento con le sue straordinarie marce. Fu la prima “trasferta” impegnativa della banda dopo l’interruzione dell’attività per il secondo conflitto mondiale. Dopotutto era molto legata e riconoscente a Mons. Albiero perché fu proprio lui che, giunto a Rosà e trovandosi in possesso di 40 strumenti a fiato donatigli dal conte Paolo Dolfin, invitò i giovani ad un corso prima di teoria e poi di strumento, ridando vita così alla banda e assumendosi l’incarico di presidente.
Il rapporto con i parrocchiani deve essere stato sicuramente sincero e profondo per la sentita partecipazione allacerimonia di saluto alla fine del suo mandato, anche se da diverse fonti bibliografiche è descritto come un “tipo di ferro”.
Molti rosatesi ricordavano il suo carattere solido, duro, autoritario. La sua formazione e la sua coscienza sacerdotale lo portavano a essere il difensore di una verità tutta intera, senza compromessi, anche se scomoda. La sua intransigenza poteva farlo apparire indisponente ma chi riusciva ad avvicinarlo senza fretta scopriva la sua nascosta e ribollente carica umana che teneva nascosta sotto quella pelle d’orso, forse per paura di se stesso, di farsi scoprire. Nota per esempio era la sua devozione e ammirazione per la Santa Gemma Galgani, la martire che affrontò il suo calvario di dolore con il sorriso e che lui voleva prendere come modello.

Fu nominato dal Vescovo Zinato arciprete e vicario foraneo di Rosà il 3 gennaio 1944, come successore di Monsignor Filippi, morto improvvisamente nel marzo del ’43.
Era nato a Castello di Arzignano il 13 aprile 1909 e dopo le scuole elementari era entrato nel Seminario di Vicenza, dove si era distinto per intelligenza e tenacia nello studio. Fu ordinato sacerdote il 16 luglio1933 e, dopo qualche anno come cappellano nella parrocchia di S. Croce ai Carmini, nel ‘37 fu chiamato a più alte responsabilità con le nomine a Vicecancelliere Vescovile e Vicedirettore del Collegio Baggio.

Quando entrò a Rosà, gli anni erano difficili, di guerra: proveniva da un’esperienza di Cappellano militare della novantaquattresima Sezione a Bastia di Al Pago e ora si trovava ad essere monsignore di un duomo bombardato. Nella vicina parrocchia di san Pietro di Rosà nello stesso anno si era costituito un gruppo di resistenza alla dominazione tedesca e nell’autunno del ’44 la Villa di Ca’ Dolfin divenne prigione e luogo di tortura dei partigiani. Frequenti furono i rastrellamenti dei nazifascisti nel nostro comune e neppure i sacerdoti furono immuni da questi tristi episodi. I rosatesi vissuti in quegli anni ricordano l’episodio in cui le SS cercarono di sequestrare anche Don Albiero ma, dopo l’intimidazione del prelato che gli ricordava di essere un uomo di Dio, non ci riuscirono perché, inspiegabilmente, la loro macchina non partì.

Mons. Albiero a Rosà trovò anche la Cittadella della Carità con l’Asilo parrocchiale, voluta e fondata da Monsignor Filippi che aveva chiesto al Vescovo Rodolfi di poter affidare la sua direzione alle Suore dell’Istituto Palazzolo di Bergamo. Questa convenzione fu nuovamente sottoscritta nel maggio del 1944 tra il l’arciprete Giovanni Albiero e la Madre Generale: le suore delle Poverelle mantenevano la gestione dell’Asilo infantile della Parrocchia di Rosà. Nel 1945 la Curia Vicentina donerà alle suore gli immobili degli Istituti Pii e alla Parrocchia di Rosà gli immobili allora adibiti ad Asilo e Orfanotrofio.

Breve è stata la sua permanenza a Rosà ma illuminata e incisiva è stata la sua azione pastorale, tanto da indurrelo stesso Vescovo a chiamarlo accanto a se alla prestigiosa guida della parrocchia della sua cattedrale. Monsignor Albiero ricorderà per tutta la vita con molta nostalgia la nostra parrocchia, tanto da immaginare di ritrovarla quando chiese nel 1955 di diventare il nuovo arciprete di Lonigo. Qui vi rimase fino al 1973 per poi ritirarsi alla Casa del Clero di Vicenza. Fu nominato Canonico onorario della Cattedrale dove ogni giorno si recava per pregare. Morì a Vicenza il 2 maggio del 1981 dopo una breve malattia.

…L’Arsiprete saralo contento
de sto modesto componimento?
se non altro el capirà
che no l’è stà dismentegà.
(G.B.)

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