Monsignor CELADON

del prof. Mario Baggio

“diario di un parroco di campagna”

ARCIPRETE DI ROSÀ E TESTIMONE SCOMODO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

Mons. Angelo Celadon è nato il 3 agosto del 1864, a Montebello Vicentino. Dopo aver frequentato il Seminario di Vicenza, venne ordinato sacerdote il 28 luglio del 1888. Per due anni svolse il ruolo di cappellano a Posina e poi, per un decennio, guidò la parrocchia di Campotamaso. Dopo un incarico di un anno in seminario, il 12 ottobre del 1901, fu nominato arciprete di Rosà, succedendo a don Apollonio Maggio. Ben presto, seppe farsi apprezzare per le grandi doti di fede, la vita ispirata alla povertà, vicino agli ultimi. Fra le opere parrocchiali portate avanti da mons. Celadon, la realizzazione del “campanon”, la più grande campana della diocesi di Vicenza, benedetta nel 1908 dal rosatese mons. Andrea Caron,  arcivescovo eletto di Genova e titolare di Calcedonia. Fra le altre opere realizzate, il gioiello neoclassico del tempio dei Giovani, in piazza card. Sebastiano Baggio.

All’inizio della prima guerra mondiale, il sacerdote incappò nella giustizia del Re in nome del popolo italiano. In un diario, che aggiornava con puntualità, giorno per giorno,  portato alla luce dal sottoscritto, assieme ad altri amici che hanno messo ordine, nel 1976, all’archivio parrocchiale, su richiesta dell’allora arciprete mons. Mario Ciffo,  Celadon annotava ogni aspetto della vita quotidiana e le varie fasi civili e militari, con l’aggiornamento delle vittime  dal fronte di guerra. Dopo i primi risultati postivi, giungevano in paese le notizie allarmanti e catastrofiche fino alla ritirata di Caporetto. Le campane non suonavano più a festa, ma a morto o a martello per segnalare pericoli di bombardamenti o altre forme di attacchi da parte dei nemici austro – ungarici. Le case si svuotavano, le culle erano sempre più vuote, le bare ed il cimitero che non bastavano più, mentre  guerrafondai ed  anticlericali imperversavano. Il 24 ottobre del 1915, mons. Celadon lesse in chiesa una lettera inviatagli dal fronte da un soldato della sanità, Valentino Meneghetti, contenente notizie diverse da quelle diffuse dal Governo e dagli alti Comandi dell’esercito. L’episodio finì nelle maglie della censura militare che mise sotto accusa il parroco per disfattismo, scarso amore verso la patria e diffusione di notizie false e tendenziose. L’arciprete venne penalizzato da una sanzione amministrativa di 83  lire di allora, con il beneficio del perdono e la non iscrizione al casellario, ma fu costretto a lasciare la carica di guida della comunità rosatese, per trascorrere un periodo di confino a Biella, nel santuario della Madonna di Oropa. Il rientro a Rosà avvenne poco prima della fine della guerra, in un paese devastato dai lutti e dalla rovine della guerra. Il sacerdote non si scoraggiò e riprese con animo l’attività di ricostruzione delle coscienze, mantenendo uno stile pastorale semplice, che gli valse la conferma dell’appellativo: “Angelo di nome e di fatto”. A lui si deve la ricostruzione puntigliosa e precisa delle varie fasi di una guerra vinta alla fine di una lunga serie di lutti e di dolori umani e familiari. Da registrare che le note più significative del suo diario, raccolte nella pubblicazione “Diario di guerra di un parroco con campagna  1915 -1919”, edito nel 1978  a cura della Biblioteca civica di Rosà. Mons. Angelo Celadon è passato alla storia come testimone scomodo della prima guerra mondiale, senza tuttavia, tradire il suo impegno verso le fasce più deboli della popolazione e verso chi era stato costretto ad imbracciare il fucile, per una causa non sempre  chiara ed a combattere su due fronti: il nemico davanti, i fucili puntati per chi cercava di sottrarsi alla guerra dietro le spalle. Il 19 dicembre del 1919, celebrò l’ultima messa solenne a Rosà, prima di partire per Vicenza, con l’incarico di direttore spirituale del seminario maggiore. Non si dimenticò di Rosà. Ogni mese, nella cappella dei sacerdoti defunti del cimitero, celebrava una messa a suffragio anche dei suoi ex parrocchiani. Giungeva in paese e se ne andava dopo il rito religioso, nella massima discrezione, in punta di piedi, per non dare fastidio a nessuno. Morì, a Vicenza, il 18 febbraio del 1944, al termine di una vita povera ed umile, ma non dimenticato da quanti l’avevano conosciuto.

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