Monsignor Serafino Comin

… la mitezza evangelica
di Angelo Zen

[dropcap style=”font-size: 60px; color: #1e6bbd;”] A [/dropcap] cento anni dalla sua nascita.

Lo scorcio di Via Mazzini, a Rosà, come appare in una foto scattata intorno agli anni ’20 del secolo scorso, qui riprodotta, può rendere l’idea da dove e come ebbe inizio la vita di Mons. Serafino Comin. Là egli nacque il 9 dicembre 1913.

Secondo di nove fratelli, fu circondato da molte attenzioni da parte dei genitori, papà Giosuè e mamma Albina.

Buono e docile, assai vivace. Sono le testimonianze che raccolgo dalla viva voce della sorella Candida, che mi è stata di validissimo aiuto in questa ricerca. Le sono grato.

La famiglia Comin si è formata agli inizi del secolo scorso, a ridosso degli anni della prima guerra mondiale. Si mantenne con la gestione di un forno a legna, ubicato nel lato ovest dell’attuale Via Mazzini, successivamente spostato  nel lato est della stessa. Il forno era attiguo all’abitazione. Il negozio di generi alimentari con annesso panificio ebbe a cessare nell’anno 1992, quando le sorelle Candida e Corona smisero dopo aver raggiunto l’età della pensione.

L’attività del forno era diretta dal papà Giosuè e nel lavoro manuale interveniva solo in sostituzione delle assenze dei dipendenti. Era persona molto stimata in paese. Godeva della considerazione di mons. Luigi Filippi. Qualcuno ricorda ancora i gesti di generosità usati verso le famiglie che in quel tempo non ce la facevano a pagare la spesa.  Era uno dei quattro “fabbriceri” della parrocchia. Incarico importante in quei tempi, di aiuto e consiglio per le attività “laiche” della comunità.

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La mamma Albina era orgogliosa referente nell’organizzazione dei pranzi che si celebravano nelle famiglie dei nuovi nati. Dopo la “comare” (l’ostetrica), era la persona più importante in tali eventi.

Serafino crebbe accanto agli amici  suoi coetanei, Sebastiano Baggio, futuro cardinale e con Giuseppe Chiminazzo ed Ugo Tessarolo, divenuti poi sacerdoti diocesani. I giovani, da studenti ginnasiali, avevano libero accesso al granaio della canonica, autorizzati da Mons. Filippi e dalla sorella Vitalina a rovistare tra i preziosi pezzi d’antiquariato, ivi depositati.

Il percorso scolastico di Serafino ebbe uno svolgimento lineare. Per poter frequentare il ginnasio di Bassano, allora ubicato prospiciente la piazza della chiesa di Santa Maria in Colle, dovette superare l’esame di ammissione che avvenne a Mestre nel 1924.

Nel 1929, conclusi gli studi ginnasiali a Bassano entrò in Seminario dove frequentò il liceo e i quattro anni di teologia.  Divenne  sacerdote il 22 maggio 1937.

Il ministero sacerdotale di don Serafino, nei primi anni, fu assai movimentato.

Subito dopo l’ordinazione sacerdotale fu chiamato a svolgere il suo servizio a Cereda, come cappellano di quella parrocchia per poi passare a Cornedo. Nel 1939 fu destinato a Bassano dove visse gli anni difficili della seconda guerra mondiale.

Qui sperimentò in prima persona il dramma della guerra fratricida con le due visioni opposte di libertà. Per un certo periodo di tempo dovette supplire il parroco di Nove in quanto prelevato nottetempo dai soldati tedeschi. Anche don Serafino fu cercato dalle autorità fasciste, negli ultimi giorni del mese di settembre del 1944, perché sospettato di aver impartito la sua benedizione alle 31 salme dei giovani impiccati del Viale dei Martiri di Bassano del Grappa.

Nell’anno 1945 fu chiamato a coprire le mansioni di padre spirituale nel Seminario Vescovile di Vicenza. Impegno delicato, svolto con la sapienza e la saggezza del vero uomo di Dio. E’ una missione che riesce difficile raccontare e far risaltare nella sua autentica rilevanza.

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Riprendo le testimonianze dettate da alcuni sacerdoti che hanno esperimentato di persona la sua competenza nel difficile campo in cui era chiamato ad operare. Scrisse di lui mons. Lodovico Furian.

“...Dei ventitre anni di ministero in Seminario le pagine migliori resteranno inedite, perché scritte nelle coscienze di centinaia di sacerdoti che da lui hanno imparato l’amore a Cristo e alla Chiesa e lo stile incisivo per servire il mondo.

Non fece opere esteriori che si lascino misurare e pesare: fu l’uomo significativo che aveva un messaggio da dare sulle realtà più profonde della vita umana …

Al primo incontro con lui, colpivano il suo comportamento discreto, la disponibilità ad ascoltare, la mitezza evangelica, che dall’interno, lentamente, ti conquistava. Nello stendere il discorso era fine ed arguto, come il suo sguardo penetrante …

I giovani lo amavano: era giovane e moderno nello spirito, perché era profondo nel pensare, vivo nel sentire…

Molto significativa anche la testimonianza di mons. Giandomenico Tamiozzo.

… In un momento di forti cambiamenti, egli aiutava a distinguere ciò che era permanente o mutabile nella Chiesa. Ciò che meritava passione e fedeltà e quello che invece si poteva relativizzare, modificare e superare …

Il suo concetto di umiltà suona alquanto aggiornato, anche di fronte alle istanze della moderna psicologia, che lui stesso coltivava con interesse, dotato com’era di una forte capacità introspettiva e interpretativa del carattere, delle aspirazioni e conflittualità …

Il suo grande amore per Rosà l’ha dimostrato in mille occasioni. Una per tutte. Basta ricordare come fosse sempre presente in parrocchia quando, il card. Sebastiano Baggio, amico fraterno e compagno di tante esperienze giovanili ritornava a Rosà. E come lui presenziasse alle celebrazioni che si svolgevano in parrocchia, con la compiaciuta disponibilità dell’arciprete mons.  Ciffo.

Non mancava mai, in occasione della ricorrenza del 1° novembre di ogni anno, alla celebrazione in cimitero del ricordo dei defunti.

E il destino volle che proprio in occasione della celebrazione della festa dei Santi del 1968 egli facesse ritorno a Rosà per riposare per sempre, nel suo cimitero, accanto ai suoi cari, dopo la morte, avvenuta il 29  ottobre 1968.

Fu una cerimonia unica in quella circostanza, accompagnato processionalmente da una folla molto numerosa. Una veglia notturna precedette la sua tumulazione.

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Don Serafino Comin, che divenne monsignore con la nomina a canonico teologo nell’anno 1960, è un riferimento importante nella storia della Chiesa di Rosà e non solo. Egli, nel silenzio, nella riservatezza che traspariva in ogni suo tratto, ha rappresentato una felice sintesi di valori sociali, morali e religiosi, frutto di una terra ricca di fede e prodiga di esempi illustri.

Inoltre è stato la persona più rappresentativa di una famiglia che, nel secolo scorso, ha caratterizzato nel bene,  il volto bello di una comunità.

     E di questo Rosà deve andar orgogliosa.

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