Padre GIOVANNI DIDONE’

di Elisabetta Nichele e Antonio Marchiorello

Padre Giovanni Didonè  missionario saveriano 1930-1964

Una famiglia, quella dei Didonè, originari di Cusinati di Rosà e residenti dal 1941 a Ca’ Onorai di Cittadella, distinta per una vita patriarcale, tutta amore, rispetto reciproco, preghiera e lavoro, irradiata da pace e serenità, allietata da undici figli. Una famiglia benedetta da Dio che, delle cinque ragazze, ne chiamò quattro alla vita di convento, mentre dei sei maschi, tre li fece suoi ministri e  missionari di carità ed evangelizzazione.

In questo contesto Giovanni trovò, già nei suoi primi anni, lo stimolo migliore verso le cose alte dell’anima, specialmente attraverso la devozione a Maria. Aveva 11 anni quando si consacrò alla Madre di Dio, offrendosi a Lei con filiale abbandono, quale “servo”, secondo lo spirito del Beato Grignon di Monfort. Questa consacrazione egli renderà definitiva 10 anni dopo, nella notte del Natale 1952: “Con Maria -amerà ripetere più avanti- si cammina meglio!…Quando ho capito il valore del voto alla Madonna, la gloria che ridonda a Lei e i vantaggi che derivano dalla mia anima e a quelle che da me aspettano un aiuto, non ho esitato un solo istante a farlo, e ogni giorno mi sento più tranquillo, confidente, più fiducioso per l’avvenire”.

Da questa certezza fiorisce in Giovanni la vocazione, prepotente e sicura, al servizio di Dio all’altare e la chiamata alla conquista delle anime nelle terre lontane e infedeli.

Nonostante la dura esperienza scolastica che non riconosce la generosità del suo impegno, egli pensa alle parole del papà Angelo: “Se un giorno, per delle difficoltà, tu decidessi di tornare indietro, ricordati che tornerai a lavorare in campagna: ho già pronti la forca e il rastrello!…”. La prova, tuttavia, fortifica il carattere di Giovanni, che confida a un fratello, in una lettera: “ Trovare la vita un po’ dura, mi pare sia una grande grazia del Signore: le difficoltà ci rendono più maturi e le sofferenze più atti a capire gli altri. Comunque non siamo fatti per arrenderci….: interessante è non fermarci…”. E che la volontà di Giovanni non si arrendesse, servendo invece a rafforzare ciò che passava nel suo cuore, si capisce quando, all’età di vent’anni, dice al papà: “Ora non posso più aspettare…, so di recarti un grande dispiacere, ho deciso…devo farmi missionario…”. Ecco il chiaro, grande ideale di Giovanni, frutto dolce e maturo delle rinunce e dei sacrifici compiuti sinora. Essere missionario, per lui, vuol dire consumarsi, dare la vita per le anime degli infedeli. Nel 1958 P. Giovanni è sacerdote….è vicino anche il suo sogno di missionario: “Mai mi sono sentito così grande, mai così piccolo-confida ai suoi- .Quando ci penso sul serio, mi viene da piangere”. L’anno dopo, il 3 dicembre 1959, festa di Francesco Saverio, patrono dell’Istituto Saveriano, è sull’aereo che lo porta finalmente verso il Congo Belga, ora Zaire. Il suo cuore sa cosa lascia e sa quello che lo aspetta: “Il missionario –scriverà poi – è un uomo e non orso, ma porta con sé gli affetti familiari e quanto ha appreso, goduto e beneficiato in famiglia…”. Approda a Usumbura e poi visita Uvira, dove si trattiene qualche tempo per apprendere la lingua locale. Qualche giorno dopo può già scrivere: “Mi sembra di trovarmi qui da molto…, che l’Africa sia fatta apposta per me…, o che sia io fatto per  l’Africa…”. Nel 1960 passa da Baraka a Kiliba, missione di recente fondazione. Con gli altri Padri organizza la Madonna Pellegrina, sì che dopo può scrivere: ”Anche qui la Mamma del cielo sa farsi amare! Quante confessioni e quante comunioni…”.

E’ giovane P. Giovanni e pieno di entusiasmo, preghiera e coraggio. Si spende generosamente nei suoi giri missionari: visita i gruppi di cristianità sulle montagne o nella savana, resta con loro qualche giorno, li assiste e conforta, preparando catechisti e maestri.“…Questa è veramente la vita più bella!….Ho fatto quattro ore di dura salita, ma veramente dura….” . Esamina i catecumeni e subisce la malaria, ma “la mia casetta di terra – dice – col tetto di paglia e senza finestre, mi sembrava una reggia…”.

I Saveriani tengono nel Congo Belga le loro cristianità a Uvira, Baraka, Fizi, Kiringyie, e altrove…P. Giovanni ubbidisce alle disposizioni  del Vescovo relative a continui e necessari movimenti.

A Fizi, ultima sua residenza, egli si adopera a tutto potere per la costruzione della nuova chiesa, senza pretese, ma efficiente, che , nel febbraio 1962, viene inaugurata. Per completarla al più presto va da un luogo all’altro, alla ricerca del materiale necessario.  La sua giornata non conosce riposo: “Non vi è momento di tregua –scrive – ma, se tornassi giovane, rifarei tutto quello che ho fatto, per poter vivere questi giorni, in questa Africa…I sacrifici sono niente di fronte alla gioia della meta…Vicino a Maria si impara a conoscere ed amare la propria vocazione…”. La situazione politica nel frattempo inizia ad essere critica: tra Bukavu e Uvira c’è aria di tempesta tanto che nel maggio 1964 Uvira cade in mano ai ribelli e i soldati governativi fuggono.

L’ultimo biglietto ai suoi confratelli missionari, da Fizi, è del 9 novembre 1964, mentre l’ultima lettera ai suoi genitori è stata del 30 aprile, annunciando loro di trovarsi a Baraka, dove svolge gli ultimi atti del suo ministero, il 1° maggio, dando il lavacro della fede a 300 battezzandi: “La scena è stupenda!…” scrive, ma poi subito ci tiene a rassicurare i suoi che in Italia, attraverso i giornali, sanno più di lui che è sul posto, circa la situazione politica: “ Quanto dicono i giornali e radio su Uvira, in questi giorni, è esagerato… Finora , a Fizi, ci sono manifestazioni, ma c’è calma e speriamo duri a lungo. Accompagnatemi con la preghiera…”. Le grandi distanze e la rigida censura su stampa e giornali, impediscono a P. Giovanni di essere bene informato su ciò che sta maturando in Congo. Ma  ben presto, tutto il Kivu è in mano ai ribelli. Quel che più preoccupa i missionari è una strana, non vera convinzione fissa nella testa dei ribelli, che siano proprio i missionari a tradirli, con una radio trasmittente, scoprendo i loro movimenti, avvertendone il nemico. Un certo colonello Abedi, già al servizio della missione cattolica, è ora capo dei ribelli: sconfitto malamente in uno scontro coi soldati governativi, dopo aver ucciso P. Carrara e fratel Faccin, si reca presso la chiesa di Fizi che P. Giovanni stava ripulendo e ordinando. Padre Giovanni non si accorge che l’Abedi lo sta mirando con la rivoltella: un colpo in fronte e cade a terra, senza un lamento. Il sacrificio è compiuto. E’ il 28 novembre 1964, giorno sacro alla Madonna.

Il sogno di P. Giovanni si è avverato; cinque soli anni di vita missionaria sono bastati per rendere vero quanto aveva scritto nel fervore degli inizi della sua missione: “ La vita del missionario è la più bella di tutte. Solo la morte sarà più bella di questa vita. Il martirio è il più grande di tutti i doni…”

di Elisabetta Nichele e Antonio Marchiorello

Padre Giovanni Didonè  missionario saveriano 1930-1964

Una famiglia, quella dei Didonè, originari di Cusinati di Rosà e residenti dal 1941 a Ca’ Onorai di Cittadella, distinta per una vita patriarcale, tutta amore, rispetto reciproco, preghiera e lavoro, irradiata da pace e serenità, allietata da undici figli. Una famiglia benedetta da Dio che, delle cinque ragazze, ne chiamò quattro alla vita di convento, mentre dei sei maschi, tre li fece suoi ministri e  missionari di carità ed evangelizzazione.

In questo contesto Giovanni trovò, già nei suoi primi anni, lo stimolo migliore verso le cose alte dell’anima, specialmente attraverso la devozione a Maria. Aveva 11 anni quando si consacrò alla Madre di Dio, offrendosi a Lei con filiale abbandono, quale “servo”, secondo lo spirito del Beato Grignon di Monfort. Questa consacrazione egli renderà definitiva 10 anni dopo, nella notte del Natale 1952: “Con Maria -amerà ripetere più avanti- si cammina meglio!…Quando ho capito il valore del voto alla Madonna, la gloria che ridonda a Lei e i vantaggi che derivano dalla mia anima e a quelle che da me aspettano un aiuto, non ho esitato un solo istante a farlo, e ogni giorno mi sento più tranquillo, confidente, più fiducioso per l’avvenire”.

Da questa certezza fiorisce in Giovanni la vocazione, prepotente e sicura, al servizio di Dio all’altare e la chiamata alla conquista delle anime nelle terre lontane e infedeli.

Nonostante la dura esperienza scolastica che non riconosce la generosità del suo impegno, egli pensa alle parole del papà Angelo: “Se un giorno, per delle difficoltà, tu decidessi di tornare indietro, ricordati che tornerai a lavorare in campagna: ho già pronti la forca e il rastrello!…”. La prova, tuttavia, fortifica il carattere di Giovanni, che confida a un fratello, in una lettera: “ Trovare la vita un po’ dura, mi pare sia una grande grazia del Signore: le difficoltà ci rendono più maturi e le sofferenze più atti a capire gli altri. Comunque non siamo fatti per arrenderci….: interessante è non fermarci…”. E che la volontà di Giovanni non si arrendesse, servendo invece a rafforzare ciò che passava nel suo cuore, si capisce quando, all’età di vent’anni, dice al papà: “Ora non posso più aspettare…, so di recarti un grande dispiacere, ho deciso…devo farmi missionario…”. Ecco il chiaro, grande ideale di Giovanni, frutto dolce e maturo delle rinunce e dei sacrifici compiuti sinora. Essere missionario, per lui, vuol dire consumarsi, dare la vita per le anime degli infedeli. Nel 1958 P. Giovanni è sacerdote….è vicino anche il suo sogno di missionario: “Mai mi sono sentito così grande, mai così piccolo-confida ai suoi- .Quando ci penso sul serio, mi viene da piangere”. L’anno dopo, il 3 dicembre 1959, festa di Francesco Saverio, patrono dell’Istituto Saveriano, è sull’aereo che lo porta finalmente verso il Congo Belga, ora Zaire. Il suo cuore sa cosa lascia e sa quello che lo aspetta: “Il missionario –scriverà poi – è un uomo e non orso, ma porta con sé gli affetti familiari e quanto ha appreso, goduto e beneficiato in famiglia…”. Approda a Usumbura e poi visita Uvira, dove si trattiene qualche tempo per apprendere la lingua locale. Qualche giorno dopo può già scrivere: “Mi sembra di trovarmi qui da molto…, che l’Africa sia fatta apposta per me…, o che sia io fatto per  l’Africa…”. Nel 1960 passa da Baraka a Kiliba, missione di recente fondazione. Con gli altri Padri organizza la Madonna Pellegrina, sì che dopo può scrivere: ”Anche qui la Mamma del cielo sa farsi amare! Quante confessioni e quante comunioni…”.

E’ giovane P. Giovanni e pieno di entusiasmo, preghiera e coraggio. Si spende generosamente nei suoi giri missionari: visita i gruppi di cristianità sulle montagne o nella savana, resta con loro qualche giorno, li assiste e conforta, preparando catechisti e maestri.“…Questa è veramente la vita più bella!….Ho fatto quattro ore di dura salita, ma veramente dura….” . Esamina i catecumeni e subisce la malaria, ma “la mia casetta di terra – dice – col tetto di paglia e senza finestre, mi sembrava una reggia…”.

I Saveriani tengono nel Congo Belga le loro cristianità a Uvira, Baraka, Fizi, Kiringyie, e altrove…P. Giovanni ubbidisce alle disposizioni  del Vescovo relative a continui e necessari movimenti.

A Fizi, ultima sua residenza, egli si adopera a tutto potere per la costruzione della nuova chiesa, senza pretese, ma efficiente, che , nel febbraio 1962, viene inaugurata. Per completarla al più presto va da un luogo all’altro, alla ricerca del materiale necessario.  La sua giornata non conosce riposo: “Non vi è momento di tregua –scrive – ma, se tornassi giovane, rifarei tutto quello che ho fatto, per poter vivere questi giorni, in questa Africa…I sacrifici sono niente di fronte alla gioia della meta…Vicino a Maria si impara a conoscere ed amare la propria vocazione…”. La situazione politica nel frattempo inizia ad essere critica: tra Bukavu e Uvira c’è aria di tempesta tanto che nel maggio 1964 Uvira cade in mano ai ribelli e i soldati governativi fuggono.

L’ultimo biglietto ai suoi confratelli missionari, da Fizi, è del 9 novembre 1964, mentre l’ultima lettera ai suoi genitori è stata del 30 aprile, annunciando loro di trovarsi a Baraka, dove svolge gli ultimi atti del suo ministero, il 1° maggio, dando il lavacro della fede a 300 battezzandi: “La scena è stupenda!…” scrive, ma poi subito ci tiene a rassicurare i suoi che in Italia, attraverso i giornali, sanno più di lui che è sul posto, circa la situazione politica: “ Quanto dicono i giornali e radio su Uvira, in questi giorni, è esagerato… Finora , a Fizi, ci sono manifestazioni, ma c’è calma e speriamo duri a lungo. Accompagnatemi con la preghiera…”. Le grandi distanze e la rigida censura su stampa e giornali, impediscono a P. Giovanni di essere bene informato su ciò che sta maturando in Congo. Ma  ben presto, tutto il Kivu è in mano ai ribelli. Quel che più preoccupa i missionari è una strana, non vera convinzione fissa nella testa dei ribelli, che siano proprio i missionari a tradirli, con una radio trasmittente, scoprendo i loro movimenti, avvertendone il nemico. Un certo colonello Abedi, già al servizio della missione cattolica, è ora capo dei ribelli: sconfitto malamente in uno scontro coi soldati governativi, dopo aver ucciso P. Carrara e fratel Faccin, si reca presso la chiesa di Fizi che P. Giovanni stava ripulendo e ordinando. Padre Giovanni non si accorge che l’Abedi lo sta mirando con la rivoltella: un colpo in fronte e cade a terra, senza un lamento. Il sacrificio è compiuto. E’ il 28 novembre 1964, giorno sacro alla Madonna.

Il sogno di P. Giovanni si è avverato; cinque soli anni di vita missionaria sono bastati per rendere vero quanto aveva scritto nel fervore degli inizi della sua missione: “ La vita del missionario è la più bella di tutte. Solo la morte sarà più bella di questa vita. Il martirio è il più grande di tutti i doni…”

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