Sul filo della Memoria: testimonianza di Esad Mehmeti

di Chiara Farronato

[dropcap style=”font-size: 60px; color: #1e6bbd;”] P[/dropcap]rofugo a 10 anni negli anni ’90, ha reso attuali orrori già vissuti in passato.

La sera del 13 Febbraio 2013, in occasione della Giornata del Ricordo, si è tenuta la chiusura della mostra fotografica “Sul filo della memoria”, allestita negli ambienti della biblioteca comunale. Il titolo richiama due tragiche date da ricordare:

– il 10 febbraio stabilito come “il giorno del ricordo”, per commemorare tutte le vittime del massacro delle foibe avvenuto tra il 1943 e il 1947;

– il 27 gennaio del 1945 è il “il giorno della memoria della Shoah” per non dimenticare lo sterminio del popolo ebreo.

Considerata la lontananza dei fatti accaduti, è giusto ricordare ancora quelle tragedie? Sì, per impedire che fatti così devastanti accadano ancora…ma purtroppo ancora molto c’è da fare e ciò è testimoniato dal racconto della viva voce di Esad Mehmeti: egli è stato profugo a 10 anni, rendendo tristemente attuali gli orrori già vissuti in passato. E’ arrivato come profugo in Italia 15 anni fa, l’8 maggio del 1999, a Bari, ed era solo un bambino. Oggi Esad frequenta il V anno delle magistrali ingegneria civile, nel tempo libero fa l’arbitro di calcio presso la sezione AIA di  Bassano e il suo obiettivo è diventare europarlamentare. Esad ricorda quegli anni con la memoria di un bambino, senza le conoscenze politiche e sociali di un adulto obiettivamente informato su tutti i vari aspetti della situazione, ma con la realtà quotidiana che vive un bambino e la racconta nella misura in cui questa viene prima cambiata e poi stravolta dalla guerra.

All’epoca aveva 9 anni, la Jugoslavia comprendeva Sette Stati diversi, la cui vicendevole coesistenza non era facile. Il sistema politico vigente aveva oppresso ogni nazionalismo ma questo ideale prese comunque forza nei Serbi, nei Croati e poi nei Bosniaci. Nel 1990 cade il muro di Berlino, e i vari nazionalismi si esaltano causando un crollo economico e politico del paese, provocando l’emigrazione di molte famiglie e la situazione presto degenera, si crea una propaganda contro l’etnia di Esad, soldati di un esercito sparano sugli abitanti che cercano di difendersi. La NATO nel marzo 1999 inizia i bombardamenti sulla Serbia per 77 giorni fino alla sua resa che porta alla fine della guerra sui Balcani. Esad racconta che le esplosioni facevano vibrare tutto, la notte non si dormiva mai: erano le forti onde d’urto, i quadri cadevano dal muro, le tegole rovinavano dal tetto.

Le perdite sono enormi: 18.000 morti, 20.000 donne stuprate e poi suicide, 800.000 persone hanno abbandonato la loro casa, 5.000 scomparsi nelle fosse comuni e ancora 2.078 mancano all’appello. Esad e la sua famiglia ricevono l’ordine di evacuare la città, una folla immane riempie la strada alla stessa ora per andare via, dove nessuno lo sapeva, ma sono così tanti, così pressati che impiegano otto ore per percorrere il primo chilometro. La notte si fermano alla scuola elementare dove passano la notte, Esad pensa di taroccare i suoi voti… ma poi, a cosa servirebbe…

La situazione è confusa e le rare notizie che si diffondono sono quelle provenienti dalle poche radio disponibili. A metà strada, continua Esad, viaggiavano su un trattore con rimorchi, eravano 32 persone della sua famiglia. All’improvviso li fermano dei paramilitari che vogliono il fratello e la sua mamma perché, dicono, “I vostri soldati hanno ucciso i nostri figli!” e continuano a sparare in aria terrorizzando la folla. Il nonno di Esad riesce a salvare i suoi cari dando ai soldati denaro e la fede della mamma. Camminano per altre 28 ore, giorno e notte, per raggiungere il confine dell’Albania. Qui finalmente trovano un po’ di ristoro, vengono accolti dagli alpini che li mandano in campi tenda dove passano 10 giorni. Pioveva tanto e c’era tanto fango, ma “… noi bambini riuscivamo ancora a giocare”. Riescono a mettersi in contatto con il padre che già lavorava in Italia. La notte si faceva fatica ad addormentarsi, Esad pensava “E se domani non mi sveglio?” Il viaggio continua e giungono a Bari via mare, da qui a Padova con il treno: Esad non aveva mai visto un treno! Esad conclude “Un bambino non dovrebbe pensare alla guerra. Capisci che ci sei dentro quando muoiono le persone che hai attorno, quelle a cui vuoi bene. La guerra insegna a non arrendersi. La guerra ti fa diventare ottimista perché un periodo peggiore di questo non può tornare. Gli uomini dovrebbero aver capito che la guerra è inutile, nessuno vince, rimangono solo vittime.

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