Uno sguardo al passato

a cura della Redazione

[dropcap style=”font-size: 60px; color: #1e6bbd;”] P [/dropcap]unto il mio sguardo verso don Lodovico, così siamo abituati a chiamarlo, mentre siede accanto al gruppo di Redazione. Sfoglia la raccolta di “Voce Rosatese”. Il volto si illumina di un ampio sorriso, incorniciato da un pacato rossore. È la vista della copertina del primo numero. È la scoperta compiaciuta di un qualcosa  che, riposto nel tempo, si materializza a distanza di parecchi anni. L’occasione dell’incontro è proposta dal gruppo della redazione. Don Lodovico ha lanciato l’iniziativa del giornalino nel lontano 1966, quando era cappellano a Rosà. E qui vi rimase per due anni.

Lo snodarsi della conversazione non è un “revival” di cose passate, bensì una chiacchierata fatta in famiglia, intercalata di aneddoti e da tante sensazioni forti. Il tutto sembra far risaltare le aspettative che la ripresa della pubblicazione può attendersi. “Voce Rosatese” nasce per mantenere e rafforzare il dialogo, lenire le lontananze, tenere uniti i giovani partiti per il servizio militare, che dura diciotto mesi, lontani dalla  famiglia. È sottolineata la motivazione pastorale dell’iniziativa. E da qui il cammino si sviluppa nell’arco di  trent’anni, e diviene successivamente riferimento per gli emigranti rosatesi sia in Italia che all’estero. Proprio dai rosatesi trapiantati fuori paese viene la spinta maggiore perché l’iniziativa cresca, perché il periodico divenga punto di incontro per l’intera comunità. Un breve excursus sui vari personaggi che hanno costituito il vasto mondo della redazione si popola di memorie: da Rocco D’Alba (don Alessandro Barocco) a fra Mattio (Giacomino Alessi) e ancora “el giornalista” (Giandomenico Cortese), “el vecio” (Giovanni Didonè), Mario Marchetti, Elio Peruzzo. Figure che animano la scena della vita parrocchiale per moltissimi anni trasferendo  il loro entusiasmo e la loro cultura alle pagine del nostro periodico. È un ricordo appassionato quello che  traspare dal racconto che nasce dalla consapevolezza che il seme gettato in anni lontani ha fruttificato.

In Seminario, per lunghi anni, si esprime con competenza nella veste di educatore, di appassionato  insegnante, di equilibrato rettore. Ma il sacerdote, don Lodovico, lo scopri ancora di più in profondità quando approda a Schio, quale Arciprete. Nel nuovo incarico, ancora una volta immerso nella vita pastorale diretta,

si accorge che il prete rischia di divenire una bella statuina, da usare in momenti particolari della vita  parrocchiale. Questo non può bastare. È necessario creare la rete di relazioni fra le varie realtà. Scoprire le vie per comunicare. Usare i mezzi più idonei per avvicinare, per dialogare, per coinvolgere. L’esperienza rosatese, torna utile. Nel rivolgersi ai parrocchiani di Schio, talvolta deve far morire in gola il nome di Rosà, tanto gli è rimasto nel cuore quel nome. E per quanti hanno vissuto quei momenti di vita il ricordo è  altrettanto condiviso, memori del bene ricevuto. Le tracce di “Voce Rosatese” diventano la guida per la pubblicazione periodica a Schio del Bollettino Parrocchiale, con finalità diverse ma con l’intento di un coinvolgimento più ampio delle varie realtà esistenti nella comunità.

La costruzione dell’ascensore, scavato nella roccia, per dar modo di avvicinare la gente a frequentare il Duomo, don Lodovico la ricorda con una punta di orgoglio. Opera abbozzata fin dall’inizio della nuova esperienza e conclusa prima dell’assunzione del nuovo impegno come Vicario Generale nella Curia vicentina.

L’incarico affidatogli, quale Amministratore Apostolico, in attesa della nomina del nuovo Vescovo di Vicenza, dura per ben otto mesi. E viene eletto sul campo dai sacerdoti della Diocesi. Ma la provvidenza decide altrimenti. È un periodo vissuto nel silenzio, nascosto ai riflettori, con disponibilità totale.

Don Lodovico delinea il bel rapporto in essere con il Vescovo Beniamino: uomo di grande interiorità e preghiera, come egli dice. Quello che lui, nella veste di Vicario Generale della Diocesi, vuole manifestare è la gioia di voler bene ai preti. A tutti indistintamente. Perché essi sono quelli che permettono di dare risposte alle istanze che nascono da un mondo variegato e talvolta molto esigente.

Gli stringe il cuore, quando viaggia per la Diocesi, vedere chiese abbandonate o chiuse. L’istituzione delle unità pastorali, passaggio obbligato in questo momento, presuppone un maggiore coinvolgimento del laicato.

È un percorso da fare con serenità nella coscienza di un trapasso dal momento della collaborazione a quello della guida. Il tutto condotto con discrezione e tanta disponibilità al dialogo e al servizio. Con un laicato umile e ben predisposto, parecchie chiese che rimangono chiuse nell’arco dell’intera giornata, potrebbero venire riaperte e rese disponibili a quanti, in vari momenti, avessero voglia di sostare. In questi tempi si presenta anche il problema delle canoniche disabitate. Non devono rimanere chiuse, ma devono aprirsi come punti di riferimento per gruppi parrocchiali, luoghi di attenzione, di servizio e di aiuto a quelle che sono le iniziative che vengono proposte. Mentre si dipana la piacevole conversazione colgo un anelito che traspare dalla passione e competenza con cui vengono trattate le varie problematiche pastorali. È il felice compendio di tante esperienze vissute in modo intenso.

Il nostro orgoglio è quello di aver dato modo ad una importante figura del clero vicentino di aver messo radici a Rosà e di aver preso lo slancio per un magistero contraddistinto da una grande generosità, da geniali intuizioni e da una nobile carità.

Ci congediamo scambiandoci un grazie per quello che don Lodovico ha fatto, certi di poterlo annoverare, ancora una volta, tra i collaboratori e gli amici.

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