La felicità, forse, è un Natale semplice in famiglia

di Giandomenico Cortese

 

“In fondo a quel so mondo de carton

El Bambineo de tera e gli anzoleti,

San Giuseppe e la Madona in orazion,

dentro la paja speta che stasera

come ‘na volta mi li tere fora,

col musseto e co’ l’acqua quasi vera,

le montagne de soca de rubin,

le piegore, le stelle, l’elefante,

i pastori e la casa col mulin.

 

‘Desso me mama xe partia da sola

par vedare ‘l presepio in Paradiso

coi anzoli ce sono la momdòla;

cussì no posso dire le orazion

come ‘l Bambin de tera e gli anzoleti

che in fondo a quel so mondo de carton

i speta sempre chieti…chieti…chieti”.

 

Sono i versi un po’ malinconici, ma sinceri, del “nostro” grande poeta dialettale, Gino Pistorello, dedicati a “El me presepio”.

Li ritrovo oggi nella loro intrigante semplicità, alla vigilia ormai prossima di un tempo che, non solo per i bambini, induce se non alla felicità, certo alla serenità.

Quando vissuto nel calore della famiglia, nella sua esperienza tra continuità e rinnovamento.

La famiglia, “una istituzione naturale, scritta nelle differenze biologiche e psicologiche dei sessi, con quegli elementi fondamentali che tutti conosciamo – proclamava nel nostro Duomo, in una sua magistrale omelia, l’indimenticato Arciprete Mons. Bruno Piubello, in una ormai lontana domenica, era il 28 dicembre 1986 – : l’unione, l’integrazione tra l’uomo e la donna, la trasmissione della vita”. Richiamava don Bruno, nelle sue parole, il “modo di vivere” quegli elementi, pur nella diversità dei tempi e dei luoghi, che  hanno fatto la storia della nostra umanità.

Natura e cultura plasmano la vita di ciascuno di noi, danno lievito all’esistenza, impostano, offrono significato alle relazioni, legittimano la nostra libertà.

Quei dieci anni (tra il 1979 e il 1989) di presenza tra noi di don Bruno li ricordiamo, con

un pizzico di nostalgia, come quelli vissuti da una comunità in cammino.

Chiudeva, mons. Piubello, quella sua “predica” sul valore della famiglia, richiamandosi ad una espressione di Madre Teresa di Calcutta, la quale leggeva i segni della crisi – allora – della stessa famiglia col fatto che gli sposi non pregano più insieme: “Che si mettano a pregare e capiranno esattamente quel che devono fare…”.

Troppo eccentrici oggi per valutare la semplicità, la nuova attualità di questi pensieri.

Ma a Natale si può trovare la potenza di un silenzio, da condividere, tra le luci e i frastuoni, i tanti doni inutili, per riscoprire il valore e la tenerezza di una carezza, di un abbraccio, del sorriso.

Papa Francesco, nella sua esortazione da “Evangelii Gauudium” ci esorta a cogliere la famiglia come è il «luogo dove si impara a convivere nella differenza». E aggiunge “Più che un modello astratto da accettare o rifiutare – la famiglia è una realtà concreta da vivere, nella sua ricchezza e bellezza”.

In questo numero della nostra Voce Rosatese, tra le tante notizie, riflettiamo pure sulla costante aspirazione umana alla felicità e approfondisce il ruolo della educazione familiare.

Ci chiediamo che cosa ci manca per essere felici.

Ricordo una suggestione, offertami da una delle passate edizioni del Festival Biblico,  quando a Vicenza venne invitata Simona Atzori, attrice, ballerina, pittrice, una giovane donna nata così, senza braccia, interessata a quello che aveva, non a quello che non aveva.

Aiutata da due splendidi genitori è riuscita a raggiungere egualmente il successo. Simona ha scritto un libro, dedicato alla sua mamma: “Perché ci identifichiamo sempre con quello che non abbiamo, invece di guardare quello che c’è? Spesso i limiti non sono reali, i limiti sono solo negli occhi di chi ci guarda. Dobbiamo fermarci in tempo, prima di diventare quello che gli altri si aspettano che siamo. È nostra responsabilità darci la forma che vogliamo, liberarci di un po’ di scuse e diventare chi vogliamo essere, manipolare la nostra esistenza perché ci assomigli. Non importa se hai le braccia o non le hai, se sei lunghissimo o alto un metro e un tappo, se sei bianco, nero, giallo o verde, se ci vedi o sei cieco o hai gli occhiali spessi così, se sei fragile o una roccia, se sei biondo o hai i capelli viola o il naso storto, se sei immobilizzato a terra o guardi il mondo dalle profondità più inesplorate del cielo.

La diversità è ovunque, è l’unica cosa che ci accomuna tutti. Tutti siamo diversi, e meno male, altrimenti vivremmo in un mondo di formiche”.

Simona Atzori  ha saputo trasformare il suo handicap in un punto di forza, e realizzare i suoi grandi sogni: dipingere e diventare una ballerina (ha danzato anche con Roberto Bolle).

Una lezione preziosa, non tanto perché racconta la sua storia, quanto soprattutto la sua filosofia.

La possiamo riassumere così: ognuno è diverso a modo suo, e non ci manca proprio niente per essere felici.

La felicità è davvero come una farfalla: se la insegui non riesci mai a prenderla; ma se ti metti tranquillo, può anche darsi che si posi su di te.

Proviamo a cercarla in comunione, a partire dal calore della famiglia, questa felicità, fatta delle cose più semplici e vere, essenziali e ricche, che il Natale ci suggerisce.     

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