Lettera ad un prete senza fissa dimora ,Padre Renato Famengo

di Claudio Pegoraro

     Settembre, è tempo di migrare;

non solo per i pastori di D’Annunzio, che lascian gli stazzi e vanno verso il mare, ma anche per il protagonista della nostra storia che lascia la Pedemontana (Bassano del Grappa-VI) per accudire un altro gregge in quel di Spinea (VE): Padre Renato Famengo (Noale 29/08/62), presbitero e missionario scalabriniano. Ha compiuto gli studi filosofici presso la Pontificia Università Gregoriana, specializzandosi poi in Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università San Tommaso (Angelicum) a Roma. Promettente organista, ha dovuto accantonare questa sua passione, anche su pressione dei superiori, per dedicarsi completamente agli studi, i cui risultati comunque l’hanno abbondantemente ripagato, titolo conseguito con il massimo dei voti (“summa cum laude”). Ha emesso la prima professione religiosa il 12/06/83 ed è stato ordinato sacerdote il 24/06/89. Ha svolto il ministero pastorale in Svizzera e Germania tra i migranti. Mentre si trovava a Monaco di Baviera è stato direttore del bimestrale scalabriniano “CONTATTO” dal 2000 al 2005. Principalmente dedito, secondo lo spirito del fondatore, Beato G. B. Scalabrini, alla sensibilizzazione delle comunità ad un’accoglienza rispettosa, aperta e solidale, convinto che, i migranti, con la loro presenza, sono un segno della cattolicità della famiglia di Dio e possono contribuire a creare le premesse per un autentico incontro tra i popoli che è frutto dello spirito di Pentecoste. È stato incaricato di pastorale giovanile e promotore vocazionale nelle diocesi di Vicenza, Padova e Treviso. Nonostante i molteplici impegni ha trovato anche il tempo di produrre alcuni sussidi con riflessioni e preghiere per particolari momenti dell’anno liturgico, che vado di seguito ad elencare:

– “”. Impegno di vita pronunciato con amore.

Ecco il tempo favorevole. Un percorso di preghiera per ogni giorno di quaresima.

Con Maria. Dieci grani al giorno.

Via crucis. Se qualcuno vuol venire

dietro a me…

30 minuti al Natale…ri-allaccia i contatti.

Aspettando l’amore. Novena di Natale.

Poiché le vie del Signore sono infinite, una decina d’anni fa la sua strada ha incrociato quella della comunità parrocchiale di Cusinati: dapprima con appuntamenti occasionali, poi sempre più frequenti, fino ad essere una presenza quasi stabile, direi anche familiare, tant’è che ora ci accorgiamo che ci manca qualcosa, di essere un po’ più soli. Il sacerdozio è una scelta ed un cammino che dura una vita: grazie per aver condiviso anche con la nostra comunità un pezzo di strada; grazie per la tua disponibilità mai invadente, la discrezione,la pazienza, la competenza nel rendere attuale la parola di Dio. Grazie per l’apprezzamento, le parole lusinghiere e di incoraggiamento che tante volte hai rivolto al nostro gruppo (coro delle mamme). Grazie per esserti calato in maniera semplice, ma sincera ed autentica nelle varie situazioni come richiedevano le realtà parrocchiali: la catechesi, l’iniziazione e l’accompagnamento dei bambini e dei ragazzi al ricevimento dei sacramenti. La catechesi agli adulti con la “lectio” nei periodi di avvento e di quaresima; grazie per l’attenzione riservata alle persone nel bisogno; volto a far emergere ciò che di buono si nasconde in ogni persona; sempre con un sorriso conciliante ed accattivante; l’impegno nel C.P.P., nonostante le difficoltà dovute alle precarie situazioni familiari. Dieci anni trascorsi con noi sono un tempo giusto come garanzia di fedeltà, un tempo sufficiente per abbozzare un bilancio della propria storia personale, un tempo ragionevole per guardare avanti con occhi pieni di speranza. Sappiamo bene che gli impegni pastorali, le condizioni di salute, l’inerzia della vita con le sue frenesie e le sue noie, il logorio della vita comunitaria, gli inevitabili difetti e delusioni, non sempre aiutano a vedere con lucidità la bellezza e la grandezza della propria vocazione.

Colui che “di chiara luce tesse la trama del giorno”, ascolti il nostro grido: benedica il tuo riposo ed il tuo lavoro, i tuoi silenzi e le tue parole, le tue sofferenze e le tue letizie. Riempia di tenerezza i tuoi gesti, di abbandono la tua preghiera, di nostalgia le tue lontananze da Lui. Torniamo da dove eravamo partiti, nel tentativo di fare una riflessione diversa su questi avvenimenti che ci coinvolgono e per rendere meno amaro il distacco, consapevoli che non è sufficiente dire: “ce ne faremo una ragione”. Tempo di cambi, quindi, traslochi, non solo di mobili e libri, ma di addii e nuove partenze. Ma quale significato dare a questi eventi che accompagnano periodicamente e costantemente la vita delle comunità? Come viverli nella fede e non solo come notizia che stimola la curiosità o, spesso, il  pettegolezzo ecclesiastico?

Ogni distacco ha una duplice dimensione. È fonte di sofferenza, perché infrange alcune relazioni umane. Il prete che per anni è pastore di una comunità impara ad amarla, a costruire legami con le persone, a volte anche di bella familiarità e perfino di amicizia. Crea rapporti con l’ambiente, perfino con le strutture: e la sua casa – la canonica – diventa negli anni, in un certo senso, il prolungamento della sua umanità, del suo modo di porsi in rapporto con la gente. Soprattutto con la sua chiesa, dove ogni domenica, e non solo, per anni ha radunato i fedeli per celebrare l’Eucaristia. Il cambiamento di parrocchia è il segno più eloquente della provvisorietà che tutte queste realtà umanamente importanti ed arricchenti hanno per la vita del prete. La rinuncia a queste cose fa male, se il prete è un uomo autentico e come tale consapevole che la grazia del Signore non può che passare attraverso i colori e le sfumature della sua umanità. Ma la rinuncia – dover “tagliare” per “ripartire” altrove – è anche la radice della sua identità di apostolo del Regno di Dio. Ecco allora il secondo e più importante significato del “distacco”: è il segno tangibile e concreto della sua appartenenza al Signore.

La verità è che il prete non “si appartiene” e non “appartiene” alla sua gente se non per fede. Se per un breve o lungo tratto della vita ha avuto come compagna di cammino una comunità, storicamente determinata, sa che non è per sempre, perchè egli appartiene a Dio e in Lui conosce, ama ed accoglie gli uomini.

È dilatazione dell’Eucaristia, il dono della vita di Gesù, che celebra ogni giorno per la sua gente. In quanto uomo, soffre quando deve dire ‘addio’, ma questa sofferenza si trasforma in straordinaria libertà interiore. Davvero strana e bella è la vita del prete: chiamato ad amare le persone di cui è pastore ad una ad una, amarle fino in fondo, ma amarle gratuitamente, senza legarsi ad esse. Amarle nell’amore di Dio. In questo amore, sostenuto e sostanziato dalla scelta del celibato e all’obbedienza, si riflette almeno un poco l’amore libero e gratuito del Signore. Solo per questo motivo il prete, dopo che ha pianto per la sofferenza del distacco, trova la gioia di rimettersi al lavoro, la forza di ricominciare. Scopre la capacità di rinnovarsi, di convertirsi ancora e mantenersi, anche se passano gli anni, nella perenne giovinezza di chi appartiene all’eternità di Dio. Alle comunità il passaggio di un sacerdote lascia comunque un segno: spesso è una memoria di bene, a volte è memoria di fatica e dolore. Nel bene e nel male resterà per sempre radicato in lui e nei tanti che ha incontrato e, anche a distanza di anni, il ricordo che nutrirà la sua e la loro fede plasmandone inevitabilmente la vita. Ti affidiamo al datore dei doni, a colui che muove gli astri del cielo in un concerto d’armonia; a colui che scuote le certezze che ingannano la vita, ma è anche coraggio e forza nelle lotte della vita e sostegno nella prova. Vorrei provare a riavvolgere, senza presunzione, il nastro della memoria, forse a tratti sbiadita, ma sempre grata e riconoscente, ma senza nostalgie e rimpianti, perché nulla succede per caso, e accada quel che accada, anche il sole del giorno peggiore tramonta! Semplicemente facciamo nostre le parole che Mosè rivolse agli Israeliti:

Ti benedica il Signore e ti protegga.

Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio.

Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti

conceda pace (Nm 6,24-26).

Eri solito terminare le tue omelie con questo augurio, che ora noi rivolgiamo a te:

BUON CAMMINO, PADRE RENATO, NON IMPORTA SU QUALE STRADA E

CON QUALI MEZZI.

UN VIAGGIO CHE NON FARAI DA

SOLO E NEMMENO CON MEZZI DI TRASPORTO OCCASIONALI, MA

RICCO DI INCONTRI SIGNIFICATIVI.

LA COMUNITÀ PARROCCHIALE DI CUSINATI, GRATA E RICONOSCENTE.

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