LETTERE ALLA REDAZIONE

Le porte del Duomo sempre aperte

Spett.le redazione,

sono un appassionato lettore del Vostro giornalino. Con esso mi torna a memoria quando, in pur dimessa veste tipografica, veniva distribuito alle porte della chiesa. Ho seguito il suo evolversi attraverso gli anni. Sempre gradito.

Col trascorrere del tempo è divenuto sempre più prezioso scrigno di memorie. Ora, nella sua ricercata presentazione invoglia ad essere letto.

È il giornalino della nuova unità pastorale di Rosà e come tale mi sollecita a fare una considerazione su un fatto che sta caratterizzando la vita della comunità.

Tempo fa mi si diceva che il duomo di Rosà non poteva rimanere aperto durante

il giorno, perché c’era il pericolo che venisse visitato da persone male intenzionate. Constato ora, con piacere, che tale timore è stato fugato e che l’accesso è possibile per l ‘intera giornata.

In diverse occasioni ho approfittato anch’io dell’opportunità. Ho potuto constatare con soddisfazione che anche

altre persone usufruivano dell’accesso.  In un’occasione è entrata in chiesa una nonna con una carrozzina ove giaceva un piccolino e con essa una bimba di circa tre anni che aiutava a spingere. Ho ammirato quella scena composta di tre personaggi che con un procedere molto lento, percorrevano l’intera navata.

La nonna si soffermava a dialogare con la piccola, davanti ad ogni altare.

Penso non ci sia catechismo migliore di quello insegnato da quella nonna, in un momento impensato, in un’occasione unica, offerta da questa novità.

Approfitto di questa opportunità per suggerire alle tante persone che transitano giornalmente davanti al nostro duomo, di pensare che una loro visita all’interno della chiesa potrebbe divenire il miglior deterrente a persone che volessero approfittare per compiere gesti poco raccomandabili, senza dimenticare l’indubbio beneficio spirituale.

Con la presente plaudo all’iniziativa ed auspico che l’esperienza continui anche dopo la conclusione dell’anno giubilare.

Ringrazio dell’ospitalità concessami.  Lettera firmata

 

 

 

 

 

 

 

Spett.le Redazione,

ti mando queste righe  sui miei lontani ricordi della “vecchia” Cà Dolfin. La scrittura a volte è incerta. Vedi se è degna di pubblicazione.

 

I luoghi della memoria

“La Raduna, il filò all’aperto”

 

Ai primi tepori primaverili, a sera dopo cena sulla Cà Dolfina, all’intersezione con lo stradone che portava a San Pietro e nella via principale a ridosso della roggia, c’era la “raduna” identificata meglio come “filò all’aperto”.

Si preannunciava con lo scalpitio di zoccoli che si dirigevano ai margini dello scorrere delle acque.

Sedevano, tanti con i piedi immersi nell’acqua della roggia e iniziavano cadenzate conversazioni.

Sul finire degli anni quaranta e negli anni cinquanta il clima di amichevole serenità intrecciava la conversazione.

Si discuteva dei raccolti, alcuni promettenti, altri meno, del tempo che anche allora, ma molto meno del presente, faceva le bizze.

Si confrontavano i futuri raccolti e le fienagioni, le irrigazioni, le siepi di “morarine”, di gelsi a protezione dei confini campestri.

Si parlava anche di politica, ma in

termini sbrigativi e approssimativi senza particolare criticità delle prime avvisaglie di voli e sbarchi sulla luna. È memorabile il detto di “Sbraica”, un uomo buono, scherzoso che con sonore risate affermava che avrebbe mangiato un gatto con tutto il suo pelo se l’uomo avesse messo piede sulla luna.

Adiacente alla “raduna” c’era e c’è ancora l’immagine della fuga in  Egitto della Sacra Famiglia, cui spesso, anche di sera e soprattutto a maggio le donne recitavano le devozioni.

Quando, dopo un non lungo tempo la “raduna” si scioglieva, rimaneva nell’aria il profumo di una primavera meravigliosa e ricca di promesse.    Angelo Marchiori

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