Una vita in musica. Sergio Zulian: nostro padre.

di Massimo e Manuele Zulian

[dropcap style=”font-size: 60px; color: #1e6bbd;”] P [/dropcap]er la precisione Sergio Walter Zulian. Walter era il nome di un soldato americano che i nonni avevano nascosto ai tedeschi durante la 2° guerra mondiale.

Da piccolo non era propriamente uno “stinco di santo” e prima dei 10 anni si era già guadagnato una commozione celebrale e aveva perso buona parte dei denti cadendo da un burrone.

Iniziò ad imparare a suonare il pianoforte, anzi “l’armonio”, a circa 11 anni, quando era ancora in collegio. Solo dopo qualche anno prese lezioni: ci raccontava che il suo maestro era cieco, ma, ciononostante, lo sgridava quando sbagliava la posizione delle dita…

Da giovanissimo diventò organista e maestro del coro nella parrocchia di S. Pietro di Rosà. Di necessità virtù: essendo da solo, con le mani suonava e con la testa dirigeva. Nel coro cantava anche mamma, ma questa è un’altra storia…

La passione per la musica lo ha accompagnato praticamente per tutta la sua vita: sono stati molti i gruppi in cui ha suonato, non l’organo ma la chitarra, la fisarmonica, la tromba… Il primo gruppo, nel 1959, si chiamava “I 4 micio”, poi “I Rels” nel 1961, “I Fantomas” nel 1966: con quest’ultimo si esibì anche al concorso “La Rosa d’oro”.

Spesso ci raccontava che a volte andava a suonare la sera in balera e quando tornava a casa non andava a letto ma diritto nel forno a lavorare: eh sì, perché il lavoro di famiglia era appunto il panettiere!

Nel 1967 papà e mamma si sposarono e, per sancire la fine delle serate in balera, papà vendette la chitarra, l’amplificatore e tutto il resto: ora si pensava alla famiglia!

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Nel 1971 ci siamo trasferiti a Rosà e l’allora parroco Mons. Ciffo gli affidò la direzione della Schola Cantorum. Ogni tanto ci portava alle prove del coro: non dev’essere stato un maestro tanto “tranquillo” perché ricordo che una volta trovai il leggio rotto e qualcuno mi spiegò che aveva avuto un incontro ravvicinato … con papà.

Sempre in quegli anni, assieme ad altri amici, fondò il Coro La Rosa: ne fu il primo maestro. In casa nostra fanno ancora bella mostra di sé le foto del primo concerto al teatro Monte Grappa.

Numerose sono state le attività alle quali papà ha dato il suo prezioso contributo in questi  quarant’anni di vita Rosatese: impegnato principalmente nell’animazione musicale delle ss. Messe (quando si andava a messa papà era sempre all’organo, ricordo di averlo visto dall’altra parte dell’altare solo nelle ricorrenze come i nostri matrimoni o i suoi anniversari), ha diretto nei primi anni Ottanta anche il coro giovanile “Gruppo Recital”, divenuto poi “Canta e Cammina”. Il suo impegno spaziava dallo speaker alle prime gare ciclistiche giovanili, che si svolgevano nel circuito cittadino di viale dei Tigli (anni ’70), all’organizzazione delle prime feste del quartiere Tigli Matteotti (anni ’80), a consigliere comunale. Partecipò anche al consiglio affari economici della parrocchia e si prese a cuore i problemi della Scuola Materna, le ristrutturazioni del Cinema Montegrappa, dell’Oratorio don Bosco, del Tempietto dei Giovani e del Campanile: con la sua “faccia tosta” andò anche a bussare direttamente alle porte dei Ministeri per riuscire a trovare i fondi per tali opere.

Alcuni ragazzi lo ricorderanno anche quando ha accompagnato i gruppi giovanissimi di Azione Cattolica durante il primo campo estivo in tenda a Valli di Posina.

La sua passione erano anche le camminate in montagna: di fronte alla bellezza e magnificenza delle sue Dolomiti amava cantare con gli amici “Il Signore delle Cime”.

Nel 2001 ha conosciuto la Comunità Missionaria di Villaregia, durante il loro apostolato nella nostra parrocchia. Vi aderì come simpatizzante e svolse, per la Comunità, vari servizi fra cui un viaggio presso le missioni in Brasile e Perù per realizzare, con il fratello Giancarlo, alcune riprese video. Spesso gli piaceva ricordare questa importante e profonda esperienza a contatto con i più poveri: in quella occasione era stato anche protagonista di un brutto episodio nel quale un giovane del posto lo aveva addirittura minacciato con una pistola.

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Sensibile ai problemi degli extracomunitari ha collaborato per diversi anni con l’associazione “Casa Colori” di Bassano del Grappa, aiutando i “nuovi migranti” negli adempimenti burocratici ma anche nell’integrazione nella società.

Per qualche anno fu anche al servizio degli ammalati dell’ospedale San Bassiano come Volontario Ospedaliero. Ha poi contribuito alla gestione della cappella interna all’ospedale di cui ha curato l’animazione musicale delle celebrazioni, fino agli ultimi giorni prima di lasciarci (aveva già preparato il foglio con gli incarichi per l’animazione di tutte le messe di ottobre).

Ma la musica c’era sempre anche in casa nostra: da quando ne ho ricordo, ho sempre visto il pianoforte in salotto: la domenica papà sedeva al piano e suonava…suovana…suonava… Le canzoni spaziavano su tutto il repertorio anni ’60…. Indimenticabile. Questo fino a prima che si ammalasse. Un paio di anni fa, quando ci avevano velatamente diagnosticato la malattia, l’ho registrato con il telefonino: peccato non potervelo fare ascoltare…

Io e mio fratello siamo praticamente cresciuti con la musica, non perché papà ce l’abbia insegnata ma più per “osmosi”. Papà non ha mai voluto insegnarci nessuno strumento: “Io ho imparato da autodidatta ma se voi volete imparare andate a scuola”. Infatti…tale padre tale figli, ed entrambi abbiamo imparato a suonare uno la batteria e l’altro la chitarra da autodidatti.

L’aspetto “musicale” è quello più conosciuto di nostro papà, ma non era l’unico che lo rendeva speciale.

In tutto ciò che faceva non accettava compromessi o mezze misure: “o ‘na roba te a fe ben, o te fe manco de farla!”

La sua parola d’ordine era: “ordine!”. E ben lo sapevano tutte le persone che avevano con lui rapporti di lavoro… e non solo! Fino a quasi a farlo diventare un po’ “rompiscatole”.

Anche nel sociale il suo carattere era deciso ed intransigente: non mancava di mettere la sua opinione in molte faccende, sempre schierato dalla parte dei più deboli ed in quella lealtà e trasparenza che lo hanno sempre contraddistinto.

Solo con i nipoti, che adorava, il suo carattere ferreo lasciava posto ad una tenerezza e dedizione sorprendente: era il nonno che “casualmente” passava fuori dall’asilo, o dalla scuola nell’orario della ricreazione, o che suonava il campanello di domenica mattina “presto”: “passavo di qua…” oppure semplicemente: “Ciao…” come fosse anche in ritardo.

Forse è anche per questa sua caratteristica di voler essere presente dappertutto che oggi ne sentiamo maggiormente la sua mancanza.

Questi sono alcuni dei mille ricordi che continuamente ci affiorano nella mente: probabilmente molti che l’hanno conosciuto potrebbero aggiungere ancora pagine su pagine delle esperienze che ciascuno ha vissuto con lui in questi anni.

Credo che questo sentimento non sia solo nostro ma sia condiviso anche da molte altre persone: lo testimoniano le centinaia e centinaia di persone che affollavano il Duomo di Rosà al suo funerale e le decine di sacerdoti che hanno concelebrato.

Quel giorno per noi non è stato certo facile ma ci siamo sentiti “stretti” fra tutta la comunità e felici di vedere quante persone volevano bene a papà: sono il frutto delle “relazioni” che papà aveva costruito nel corso di tutta la sua vita.

Per noi, oltre che un padre, è stato un esempio di vita; per carità, con tutti i difetti che umanamente ognuno ha, e anche lui ne aveva molti, ma è stato sicuramente un esempio.

Qualcuno ci ha detto che io e mio fratello messi assieme non “facciamo” un “Sergio” e probabilmente è vero, ma questo ci rende orgogliosi di aver avuto un papà così grande e unico.

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